George Gerbner fu un sociologo statunitense di origine ungherese, nato in Ungheria nel 1919 e morto nel 2005. Durante la seconda guerra mondiale decise di lasciare l’Ungheria e di emigrare dapprima in Italia, successivamente in Francia, poi in Messico e a Cuba; infine, andò negli Stati Uniti.
Qui si laureò in giornalismo e nel 1943 ottenne la cittadinanza statunitense.
Docente di giornalismo al John Muir College, nel 1956 divenne professore all’Institute of Communications Research dell’Università dell’Illinois. Dal 1964, e per trent’anni, fu preside della Annenberg School of Communications della Pennsylvania University di Philadelphia. Fu anche direttore della rivista Journal of Communications.
Gerbner diede un grande contributo agli studi di comunicazione.
Opere di George Gerbner
- Communications Technology and Social Policy: Understanding the New “Cultural Evolution”
- Mass Media Policies in Changing Cultures
- World Communication: A Handbook
- Beyond the Cold War: Soviet and American Media Images
- Triumph of the Image. The Media’s War in the Persian Gulf. An International Perspective
- The Global Media Debate: its Rise, Fall and Renewall
- Invisible Crises: What Conglomerate Media Control Means for America and the World
- Nel 2000 è uscita una raccolta di suoi scritti, Telling All Stories.
Il Pensiero di George Gerbner
L’importanza di Gerbner nel mondo della sociologia e nel mondo degli studi sulla comunicazione si deve soprattutto per la cosiddetta “teoria della coltivazione”, che è il risultato di un progetto di ricerca da lui diretto denominato “Cultural Indicators”.
Questo progetto di ricerca venne articolato in tre moduli di ricerca:
- il primo finalizzato all’esame delle politiche dei media;
- secondo all’analisi dei contenuti dei programmi televisivi;
- il terzo, infine, allo studio degli effetti a lungo termine sul pubblico.
Nel progetto di ricerca vennero poste a confronto l’immagine di alcuni aspetti della realtà sociale proposta della fiction televisiva e le concezioni della stessa realtà proprie del pubblico assiduo e di quello non assiduo.
Gerbner si occupa degli effetti della televisione sui processi di costruzione sociale del sapere comune, degli stereotipi e pregiudizi, sulla base dell’ipotesi secondo cui il processo di trasmissione delle immagini della realtà che essa propone sia un processo di coltivazione a lungo termine, cumulativo e non intenzionale.
La televisione riveste un ruolo dominante nel modellamento della società contemporanea, grazie alla sua capacità di porsi come “narratore” pressoché esclusivo, creando il mondo simbolico del contesto quotidiano e quindi “coltivando” la nostra percezione della realtà.
La teoria della coltivazione attribuisce al mezzo televisivo (in particolare ai generi di fiction) la funzione di agente di socializzazione e di costruttore di immagini e di rappresentazioni mentali della realtà sociale.
La televisione è molto più pervasiva e potente rispetto agli altri mezzi di comunicazione. Infatti, più si sta di fronte alla televisione più si assorbono concezioni della realtà sociale che coincidono con le rappresentazioni televisive. In tale modo chi guarda molta televisione percepisce il mondo circostante in modo totalmente diverso rispetto a chi guarda poca televisione.
La televisione coltiva immagini del reale e da essa scaturiscono atteggiamenti, credenze e rappresentazioni mentali. Trascorrere molte ore davanti alla televisione porta a credere che il mondo reale sia identico a quello rappresentato nella fiction, perciò le persone sono portate ad immaginare che i luoghi in cui vivono sono pericolosi, che possono continuamente essere aggredite e hanno sfiducia nei rapporti interpersonali.
Critiche sulle ricerche di George Gerbner
La teoria di Gerbner ha subito diverse critiche. In primis, Gerbner ha svolto le sue ricerche solo negli Stati Uniti. Alcuni studiosi hanno mostrato come la sua teoria sia circoscrivibile ad un contesto socio-culturale specifico, poiché in altri Stati varie ricerche hanno portato a risultati differenti.
Seconda critica mossa riguarda il fatto che i fruitori vengono considerati soltanto per la quantità di tempo che trascorrono davanti al televisore. Infine, altri autori tra cui Lazarsfeld e Merton, obiettano a questa teoria che la conoscenza dei dati di consumo non fornisce una dimostrazione del loro effetto sul comportamento, sul modo di pensare e sugli atteggiamenti degli individui.
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