Vita e Pensiero di Marc Augé
Marc Augé è tra i maggiori esponenti delle Scienze Socio-Antropologiche Contemporanee. Sociologo, antropologo ed etnologo francese, nato a Poitiers il 2 settembre 1935. Si è occupato della direzione dell’École des Hautes Études en Sciences Sociales (EHESS) a Parigi.
Fino agli anni ‘70 è stato direttore dell’Ufficio della ricerca scientifica e tecnica d’oltremare (ORSTOM), ora divenuto l’Istituto di Ricerche per lo Sviluppo (IRD). Dopo la metà degli anni ‘80, si è occupato di diversi ambiti di ricerca in America Latina.
Nelle sue ricerche Marc Augé ha applicato metodologie innovative d’indagine, usando vedute teoriche e metodi, già sviluppati durante le sue ricerche in Africa Occidentale, in Costa D’Avorio e Togo in cui produce i suoi primi tre saggi etnografici riguardanti la malattia, la morte e i sistemi religiosi (Le Rivage alladian, 1969; Théorie des pouvoirs et idéologie, 1975; Pouvoirs de vie, pouvoirs de mort, 1977).
Proprio in questi scritti coniò il termine “idéologique”, ovvero un processo interno alla rappresentazione che una determinata società fa di se stessa.
Le sue ricerche, e da quì ne derivò la sua notorietà, attenzionano gli studi urbani e la gestione degli spazi, introducendo il termine socio-antropologico “non luogo”, usato per descrivere quegli spazi che non hanno una dimensione storico-identitaria, anonimo, frequentato da gruppi di persone freneticamente in transito, prive di rapporti relazionali (aeroporti, alberghi, autostrade, supermercati, centri commerciali, sale d’attesa).
Da tale termine, Marc Augé definisce una “nuova” modernità, guidata da fenomeni sociali, culturali ed economici: la surmodernità, connessa al fenomeno della globalizzazione che ne genera un non luogo. Essa è caratterizzata da:
- eccesso di tempo: Il tempo che occupa eventi gettandoli nelle memorie del passato e la loro fugacità non lascia spazio agli eventi futuri;
- eccesso di spazio: il modo frenetico di concentrazione urbana, trasferimenti di popolazioni, installazioni e mezzi per la circolazione accelerata;
- eccesso di individualismo: l’aumento dei riferimenti spaziali e temporali porta alla ricerca di un percorso personale che risponda alle istanze del dinamismo contemporaneo.
Nel saggio Où est passé l’avenir (2008;) Marc Augé denuncia in ambito filosofico e politico, il rischio di un “dominio del presente” che genera pressione su ogni profondità temporale ed espropria la società contemporanea della sua storia e del suo futuro.
Altri suoi ambiti di ricerca focalizzano le peculiarità della società contemporanea metropolitana, il rapporto degli alti livelli di solitudine sociale e individuale, nonostante l’evoluzione dei mezzi di comunicazione.
A Milano, nel 2017, durante la Sesta Edizione di Book City, parla del rapporto tra individuo e comunicazione virtuale, affermando che: “Internet? Ha cambiato le nostre vite, non c’è alcun dubbio, le relazioni si sono moltiplicate, ma se ci riflettiamo, più si hanno delle relazioni virtuali e più si è soli. Internet promette la negazione dello spazio e del tempo, ma è solo e soltanto un’illusione, perché le relazioni sociali non possono esistere che nel tempo e nello spazio”.
Dal 2012 è membro del comitato d’onore dell’Associazione “Fare arte nel nostro tempo”.
Nel 2017 pubblica “Momenti di felicità”, analizzando quel sentimento di felicità ambiguo, contrastante e fugace dell’animo umano, creato in certi momenti quotidiani: “quei momenti esistono e resistono, tanto da abitare stabilmente la nostra memoria. […] “Chi non è felice oggi? I migranti, coloro che partono abbandonando il loro territorio e i radicamenti culturali, i veri eroi moderni”.
Opere di Marc Augé
- Le Rivage alladian, 1969;
- Théorie des pouvoirs et idéologie, 1975;
- Pouvoirs de vie, pouvoirs de mort, 1977;
- Symbole, fonction, histoire, 1979;
- Génie du paganisme, 1982;
- Le sense du mal, 1984;
- La traversée du Luxembourg, 1985;
- Un ethnologue dans le métro, 1986;
- Paris retraversé, 1990;
- Non-Lieux. Introduction à une anthropologie de la surmodernité, 1992;
- Domaines et châteaux, 1992;
- Le sens des autres. Actualité de l’anthropologie, 1994;
- Pour une anthropologie des mondes contemporains, 1994;
- Paris ouvert, 1995;
- Paris, années trente, 1996;
- La guerre des rêves, 1997;
- L’impossible voyage: le tourisme et ses images, 1997;
- Dialogo di fine millennio: tra antropologia e modernità, 1997;
- Disneyland e altri nonluoghi, 1999;
- Fictions fin de siècle, 2000;
- Les formes de l’oubli, 2001;
- Journal de guerre, 2002;
- Le dieu object, 2002;
- Le temps en ruines, 2003;
- Pour quoi vivons-nous?, 2003;
- L’antropologie, 2004;
- La mère d’Arthur: roman, 2005;
- Le métier d’anthropologue, 2006;
- Tra i confini: città, luoghi, integrazioni, 2007;
- Casablanca, 2007;
- Eloge de la bicyclette, 2008;
- Le métro revisité, 2008;
- Ou est passé l’avenir?, 2008;
- Pour une anthropologie de la mobilité, 2009;
- Journal d’un SDF: ethnofiction, 2011;
- L’Anthropologue et le monde global, Paris, Armand Colin, 2013;
- Une ethnologie de soi : Le temps sans âge, Paris, Le Seuil, 2014;
- Éloge du bistrot parisien, Paris, Payot & Rivages, 2015;
- Un altro mondo è possibile, 2017;
- Momenti di felicità, 2017
La presenza ingombrante dei “non-luoghi”
di Claudia Coco
Fin dalla sua nascita, la sociologia si è occupata dello studio, osservazione, rilevanza e analisi dei fenomeni, processi, strutture e sistemi sociali, interpretandone il loro manifestarsi, nei diversi aspetti e funzioni di persistenza e mutamento, tramite la realizzazione e specifico utilizzo di indicatori e modelli descrittivi ed esplicativi nelle sue generalità e applicazione.
Lo studio della città è sempre stato un oggetto privilegiato nello studio sociologico, creatore di definizioni e criteri di analisi incrementati nel tempo. Quando si parla di insediamenti periurbani si pensa a qualcosa di indipendente, strettamente separato dalla città, come il ‘non luogo’, cioè “uno spazio in cui colui che lo attraversa non può leggerne né la sua identità, né dei rapporti con gli altri, né rapporti con gli altri, né a fortiori della loro storia comune”.
Ci sono luoghi che si relazionano con tutti gli altri luoghi, ma che consentono di sospendere, eliminare o invertire quei rapporti da essi stessi delineati, riflessi, come l’Alice di Lewis Carroll, un tentativo di andare al di là dello specchio ed esplorare un altro universo, che ci sembra inizialmente estraneo e che diviene poi più familiare col processo di conoscenza, scoprendone come chi sembra così diverso, irrazionale o incomprensibile, in fondo ci somigli molto più di quanto abbiamo mai immaginato, un modo di entrare nell’esperienza degli altri e di comunicare.
I non luoghi, definiti da Augè, accettano e condividono l’inevitabilità di essere frequentati da parte di elementi estranei e rendendo la propria presenza puramente fisica, irrilevante da un punto di vista sociale, cancellando, annullando le soggettività incompatibili dei loro individui. Ma mai, prima d’oggi, “i non luoghi hanno occupato così tanto spazio”, come affermò il sociologo Zigmunt Bauman, poiché essi, secondo una mia ipotesi, è vero che sono luoghi privi d’identità simbolica, ma è anche vero che essi sono punti di ritrovo, ciò di cui ha bisogno la gente, fonte di vita quotidiana che, a volte, ricoprono la maggior parte del nostro tempo, che ci intrappolano, irrimediabilmente, al fine di soddisfare le nostre pratiche quotidiane.
Penso che il concetto socio-antropologico di non-luogo descritto da Augé, sia, a mia ipotesi, falsificabile.
Come può un luogo essere privo di significato? Ogni luogo, anche il più banale ha significato, poiché non si crea nulla dal nulla, ma c’è sempre una base storica dietro. Luoghi privi di relazione sociale? Se prendessimo in considerazione, come dice Augé, un luogo come l’aeroporto, chi ha detto che non si crei relazione sociale? L’aeroporto è pieno di relazioni sociali, genitori che aspettano l’arrivo dei figli, parenti, amici, partenze, incontri e destini che si possono creare, che ne descrivono un’evoluzione.
Per me un non luogo è “un luogo non vissuto nel tempo”. Se vedessimo da lontano, un vicolo che porta ad una strada senza uscita in cui nessuno ci è mai entrato, lì possiamo definirlo come non luogo, anzi più precisamente un “luogo vuoto”, in cui non vi è interazione alcuna, senza identità. Ma se in quello stesso vicolo, io e un’altra persona entrassimo, esso non sarebbe più un luogo vuoto senza identità, ma diventerà uno spazio intersecato con un rapporto di interazione, di osservazione, di vissuto in un determinato momento.
Non credo che ci sia l’esistenza di qualche non luogo, ma che ci sia solo la presenza di spazi vuoti che, in qualsiasi momento, possono essere pervasi da qualsiasi interazione sociale.
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