Max Horkheimer nacque a Stoccarda nel 1895 e morì a Norimberga nel 1973.
Filosofo e sociologo, tra più importanti esponenti della Scuola di Francoforte. Il contesto in cui visse fu quello della borghesia ebraica. Da ragazzo fu costretto a lasciare gli studi per andare a lavorare nella ditta del padre, ma questo non gli impedì di impegnarsi privatamente nello studio. Nel 1916 incontrò la sua futura moglie, Rose Riekher, che al tempo era segretaria di suo padre. Il loro rapporto fu osteggiato dalla famiglia, in quanto Rose non era ebrea ed era di otto anni più grande di lui.
Nel 1918 si iscrisse all’università, prima a Monaco e, successivamente, a Francoforte, dove incontrò Theodor Adorno. Nel 1925 conseguì la laurea a pieni voti con una tesi su “La Critica del Giudizio di Kant come mediazione tra filosofia pratica e teoretica”. Subito dopo iniziò ad insegnare nello stesso ateneo e nel 1930 ottenne la cattedra di filosofia sociale. Nel medesimo anno diventò anche direttore dell'”Istituto per la Ricerca Sociale”. Nel 1933, però, con l’inasprirsi delle politiche censorie del Nazionalsocialismo, l’Istituto venne chiuso dalla polizia e l’abilitazione all’insegnamento di Horkheimer venne revocata dalle leggi del regime.
Max Horkheimer decise di trasferirsi a Ginevra e qui fu spostata anche la sede dell’Istituto; dopo poco tempo andò negli Stati Uniti, dove diventò docente alla Columbia University, nuova sede ufficiale anche dell’Istituto di Ricerca Sociale in esilio. Nel 1940 ottenne la cittadinanza americana e si trasferì in California, dove avviò insieme ad Adorno la stesura della sua opera più importante, la Dialektik der Aufklärung. Philosophische Fragmente (“Dialettica dell’Illuminismo. Frammenti filosofici”).
Nel 1949 rientrò a Francoforte e insieme ad Adorno riaprì l’Istituto nel 1950. Nel 1951 diventò Rettore dell’Università di Francoforte. Dal 1954 al 1959 insegnò nell’Università di Chicago. Lasciato l’insegnamento e la direzione dell’Istituto tornò in Europa, dove morì.
Opere di Max Horkheimer
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Filosofia e teoria critica;
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La nostalgia del totalmente altro,;
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Eclissi della ragione. Critica della ragione strumentale;
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Dialettica dell’Illuminismo, (scritto in collaborazione con Adorno);
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Taccuini 1950-1969;
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Studi di filosofia della società;
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Lezioni di sociologia (scritto in collaborazione con Adorno);
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Kant: la critica del giudizio;
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La società di transizione. Individuo e organizzazione nel mondo attuale;
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I seminari della Scuola di Francoforte (scritto in collaborazione con Adorno);
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Gli inizi della filosofia borghese della storia. Da Machiavelli a Hegel;
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Crepuscolo. Appunti presi in Germania (1926-193);
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Studi sull’autorità e la famiglia;
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Eclisse della ragione. Critica della ragione strumentale
Il pensiero di Max Horkheimer
Il pensiero di Max Horkeimer è influenzato dalle opere di Freud e di Marx ed è investito dal pessimismo sui destini della società industriale avanzata. Horkheimer pone una nuova esigenza: quella di chiarire le relazioni psicologiche tra fatti economici e fatti culturali; i fattori economici vengono considerati primari, ma devono essere letti e tradotti in chiave psicologica. La psicologia deve, infatti, chiarire quali siano i fattori psichici profondi con i quali l’economia influenza gli uomini. Di qui l’attingere di Horkheimer e della Scuola di Francoforte alla psicoanalisi e alla psicologia del profondo ai fini della ricerca sociale.
Nell’opera Eclisse della ragione del 1947, Max Horkheimer parte dalla distinzione tra una ragione oggettiva e una ragione soggettiva e dalla constatazione del predominio, nella moderna società industriale, della seconda sulla prima.
•RAGIONE OGGETTIVA: la ragione dei grandi sistemi filosofici (Platone, Aristotele, la scolastica e l’Idealismo tedesco) che consiste in una ragione universale in grado di fungere da sostanza della realtà (ragione come principio immanente alla realtà) e da criterio del conoscere e dell’agire.
•RAGIONE SOGGETTIVA: si rifiuta di riconoscere uno scopo ultimo o, in generale, di valutare i fini, limitandosi soltanto a determinare l’efficienza dei mezzi; è la ragione stessa della civiltà industriale, ossia di un tipo di organizzazione sociale che, perseguendo come unico scopo, il dominio della natura e degli uomini, risolve la razionalità nella funzionalità, il sapere nella tecnica, la verità nell’utilità, generando un tipo d’uomo asservito alle esigenze produttive, un uomo che non si interroga mai sui fini ultimi della società, ma si limita alla semplice riflessione tecnica sui mezzi atti ad estendere i poteri dell’industria e quindi del capitalismo.
Da ciò il paradosso tipico della nostra epoca: tutta razionalizzata e tecnicizzata per quanto riguarda i mezzi, ma sospesa alle scelte irrazionali del potere per quanto concerne i fini.
Nel predominio della ragione soggettiva a spese di quella oggettiva, H. individua quella che lui definisce, appunto, eclisse della ragione: “la crisi odierna della ragione consiste nel fatto che a un certo punto il pensiero è diventato incapace di concepire una tale oggettività o ha cominciato a negarla affermando che si tratta di un’illusione.
Per la concezione soggettivistica, il pensiero non può essere di nessuna utilità per stabilire se un fine è desiderabile in sé. La validità degli ideali, i criteri delle nostre azioni e convinzioni, i principi basilari dell’etica e della politica, tutte le nostre decisioni fondamentali son fatti dipendere da fattori diversi dalla ragione: da una scelta, da una predilezione soggettive. Ed appare ormai privo di senso parlare di verità nel prendere decisioni pratiche, morali o estetiche”.
In La Dialettica dell’Illuminismo, il concetto di Illuminismo subisce un forte ampliamento di significato, in quanto lo identificano con la LOGICA DEL DOMINIO che sta alla base della prassi dell’Occidente, ossia con quel complesso di atteggiamenti che ha perseguito l’ideale di una RAZIONALIZZAZIONE DEL MONDO tesa a renderlo plasmabile e soggiogabile dall’uomo. In questo senso l’apice dell’Illuminismo è rappresentato dalla moderna società industriale.
L’Illuminismo e l’intera civiltà occidentale risultano segnati da una interna dialettica auto-distruttiva, poiché la pretesa di accrescere sempre di più il potere sulla natura tende a rovesciarsi in un progressivo dominio dell’uomo sull’uomo e in un asservimento dell’individuo al sistema sociale.
Per Horkheimer e Adorno viviamo in una società «totalmente amministrata» e in essa «la condanna naturale degli uomini è inseparabile dal progresso sociale».
L’aumento della produttività economica procura all’apparato tecnico e ai gruppi sociali che ne dispongono un’immensa superiorità sul resto della popolazione. Il singolo, di fronte alle potenze economiche, è ridotto a zero. Il singolo sparisce davanti all’apparato che serve. Al progresso delle risorse tecniche che potrebbero servire ad «illuminare» la mente dell’uomo si accompagna un processo di disumanizzazione.
L’idea dell’uomo, la sua umanità, la sua emancipazione, il suo potere di critica e di creatività sono minacciati, poiché lo sviluppo del sistema della civiltà industriale ha sostituito i fini con i mezzi, ha mutato la ragione in uno strumento per raggiungere fini dei quali la ragione non sa più nulla.
- Ernest Greenwood | Sociologo USA - 17 Aprile 2018
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