Max Weber – Sociologia di uno dei padri delle scienze sociali
Max Weber – Sociologo tedesco
Max Weber – Sociologo, storico, economista e uomo politico tedesco – 1864-1920 – Nasce a Erfurt, in Turingia. La famiglia d’origine, di religione protestante, ha esponenti importanti come alti funzionari del Reich, accademici universitari, imprenditori nel settore tessile. Anche grazie al padre, dalle idee liberal-nazionali di destra, amministratore municipale, deputato del partito nazional-liberale per la Dieta prussiana, da piccolo mostra interesse per la storia, i classici antichi e la filosofia, stimolato dalle intense frequentazioni intellettuali dell’abitazione paterna.
Anche sua madre era donna dalla ricca cultura, interessata alle questioni religiose e ai problemi sociali. Perciò Weber ha occasione di entrare ben presto in contatto con storici, filosofi e giuristi eminenti dell’epoca. Pur lamentandosi della sua mancanza di rispetto per la disciplina, i suoi insegnanti lo vedono già scrivere, a quattordici anni, due saggi storici come “Sullo sviluppo della storia tedesca, con particolare riferimento alla posizione dell’Impero e del Papato” e “Sull’età dell’Impero romano da Costantino alle migrazioni dei popoli”.
La Biografia di Max Weber – Sociologo tra i più importanti
Il giovane Max Weber è timido, riservato, risentendo della forte autorità paterna. Molte delle tensioni interiori che caratterizzano la sua esistenza dipendono in parte dalla intricata rete delle sue relazioni familiari, oltre che dal desiderio di fuggire dalla insignificante atmosfera politica della Germania guglielmina.
Dopo aver studiato giurisprudenza, storia ed economia nelle università di Heidelberg e di Berlino, si laurea all’Università di Berlino nel 1889 con lo storico Mommsen con una tesi in storia economica su “La storia delle società commerciali nel Medioevo”. Aderisce in questi anni al Verein für Sozialpolitik, qualcosa di altrimenti esprimibile come una “Fondazione dei socialisti della cattedra”, programmaticamente mirante all’ambiziosa elaborazione una nuova teoria sociologica, in grado di unire la teoria dello sviluppo sociale, la teoria della conoscenza scientifica e la pratica politica. L’obiettivo culturale: una sociologia che fosse una scienza dell’ethos, secondo l’insegnamento del Romanticismo e di Fichte, per cui il Volksgeist, ossia la volontà di una nazione, rappresenta la legge fondamentale del suo sviluppo sociale.
Conseguita la libera docenza nel 1892 con uno studio su “La storia romana nel suo significato per il diritto pubblico e privato”; nel 1893 sposa Marianne Schnitger, con la quale ebbe un intenso legame morale e intellettuale. Ottiene la cattedra di economia politica all’Università di Friburgo; l’anno dopo la prolusione “Lo Stato nazionale e la politica economica” porta Weber a manifestare apertamente fiducia alla Realpolitik imperialistica. Passa all’università di Heidelberg nel 1896. Un grave esaurimento nervoso, dovuto principalmente alla morte del padre, lo costringe ad interrompere la sua attività scientifica e accademica nell’anno 1897; soltanto intorno all’anno 1903, infatti è in grado di riprendere i suoi studi; viaggia allora in Italia, Corsica e Svizzera per mutare il suo prostrato stato psicologico.
A partire dal 1903 entra nella direzione della prestigiosa rivista “Archivio di Scienza Sociale e Politica Sociale”. Durante tale periodo Weber compie un importante viaggio in America, fecondo di postuma influenza culturale sui suoi studi e sulle sue riflessioni relative alla dialettica tra mentalità capitalistica e cultura sociale.
Collabora alla fondazione dell’Associazione Tedesca di Sociologia, in un congresso della quale, nel 1910, prende netta posizione contro l’ideologia razzista che troverà coronamento, scomparso Weber, con il Terzo Reich tedesco. Esce dalla medesima associazione nel 1912, a causa di divergenze sulla questione della neutralità assiologica (avalutatività).
Negli anni precedenti alla Prima Guerra Mondiale la casa weberiana ad Heidelberg diventa il centro di frequenti visite intellettuali: vi transitano i sociologi Tröltsch, Simmel, Michels, Sombart, P.Honigsheim, K.Löwenstein; i filosofi E.Lask, W.Windelband, H.Rickert, il critico letterario e storico F.Gundolf e lo psichiatra-filosofo K.Jaspers; inoltre i giovani E.Bloch e G.Lukacs.
Dal 1916 al 1917 Weber svolge diverse missioni ufficiose a Bruxelles, Vienna e Budapest; cerca di convincere i dirigenti tedeschi a evitare l’estensione del conflitto, ma nello stesso tempo afferma la vocazione della Germania alla politica mondiale. Dopo la proclamazione della Repubblica di Weimar, aderisce al nuovo partito democratico (di centro-sinistra borghese, aconfessionale), presentandosi candidato all’Assemblea Nazionale nella circoscrizione di Francoforte. Weber non partecipò mai, in posizione dirigente, alla vita politica del suo paese.
Durante la Prima Guerra mondiale, Weber segue con crescente e proporzionale preoccupazione il crollo morale e culturale della Germania. Nel dramma della sua nazione egli scorge un’ennesima conferma di quanto già da alcuni decenni andava sostenendo, e cioè la necessità di risolvere adeguatamente il problema della selezione degli uomini di governo conciliandolo con l’esigenza democratica. Weber, pur essendo pubblico ammiratore e sostenitore nei confronti della politica bismarckiana, la quale aveva fatto della Germania unificata una grande potenza, ne critica tuttavia l’opera di distruzione del liberalismo tedesco, opera demolitoria che aveva lasciato a suo giudizio in Germania un vuoto politico, privando con ciò la nazione di un’efficiente classe dirigente.
Collabora, trasformando i suoi ammonimenti in impegno civile, alla riorganizzazione dello Stato tedesco dopo il crollo dell’Impero, partecipando direttamente alla redazione della costituzione della Repubblica di Weimar. Negli anni della Repubblica di Weimar egli era passato da convinzioni parlamentaristiche a convinzioni repubblicano-presidenzialistiche, ad una concezione cesarista della direzione politica, questa considerata come la miglior forma di governo in una società di massa. Dopo la sconfitta della Germania nella Prima Guerra Mondiale si reca a Parigi come membro della commissione per la riparazione dei danni di guerra, collaborando alla redazione del “Libro bianco” tedesco, per controbattere le accuse mosse alla Germania come sola responsabile della guerra.
Le sue ultime battaglie politiche si indirizzano contro le speculazioni antisemite. Nel 1920 abbandona il partito democratico, di cui disapprovava le concessioni fatte al programma di socializzazione dei socialdemocratici. L’ultima notte di maggio di quell’anno si ammala di febbre spagnola e, dopo due settimane di vigorosa resistenza, muore il 14 giugno, a Monaco. Possiamo definire Weber, come la stessa tradizione accademica e scientifica gli riconosce, come uno dei padri della sociologia moderna.
Max Weber – Sociologo – Opere
TRA LE OPERE TRADOTTE
– Sulla teoria delle società mercantili nel Medioevo;
– La storia agraria romana nel suo significato per il diritto pubblico e privato;
– Le relazioni dei lavoratori della terra nella Germania orientale;
– Roscher e Knies e il problema logico dell’economia politico-storica;
– L’oggettività conoscitiva della scienza sociale e della politica sociale;
– L’etica protestante e lo spirito del capitalismo;
– Studi critici sulla logica delle scienze della cultura;
– Le sétte protestanti e lo spirito del capitalismo;
– I rapporti agrari nell’antichità;
– Su alcune categorie della sociologia comprendente;
– Il significato della avalutatività delle scienze sociologiche ed economiche;
– Parlamento e governo nel nuovo ordinamento della Germania;
– II lavoro intellettuale come professione;
– Politica come professione;
– Sociologia delle religioni;
– Saggi sul metodo delle scienze storico-sociali;
– Economia e società.
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Max Weber – Sociologia
da “Max Weber”, pagine della
“Storia della Sociologia” scritta da Antonio Saccà
È con Weber che il tentativo di specificare la sociologia diventa cosciente al massimo grado. Collegato al gruppo di studiosi che elaborano una metodologia delle scienze sociali: a Dilthey, a Windelband, a Tönnies, a Simmel. Weber riprende la discussione del metodo sociologico partendo da Windelband. Windelband aveva sostenuto che le scienze che si occupano di fatti concreti possono avere una loro legittimità e non ridursi a raccolta di dati specifici e frammentari se i fatti vengono presi e considerati da un punto di vista valutativo assoluto. Questo punto di vista valutativo assoluto dipende da valori universali propri dell’uomo che gli consentono di giudicare e di dare importanza ad un evento anziché a mille altri.
Weber accetta l’idea che la realtà sia un’infinita serie di eventi e che noi diamo senso a questi eventi valutandoli e assegnando loro, appunto, valore e distinguendoli secondo il valore assegnato. Ma Weber non ritiene che le scienze sociali possano e debbano essere valutative. Non lo ritiene perché significherebbe renderle soggettive in quanto la valutazione è personale, soggettiva. A differenza di Windelband, Weber non crede a valori universali. Secondo Weber, pur accettando l’idea che non possiamo non considerare la realtà se non da un punto di vista e da valori soggettivi, bisogna poi cogliere il rapporto delle nostre azioni rispetto ai valori scelti.
La sociologia non è la scienza dei valori ma studio dei comportamenti rispetto ai valori. Posto un valore, la sociologia studia come gli uomini si comportano rispetto a quel valore, studia le conseguenze dell’azione o, comunque, le connessioni tra l’azione ed il valore. In tal senso la sociologia non prende posizione, non è valutativa, ma circoscrive il suo compito al rapporto tra valore ed azione che ne discende o azione che al valore si riferisce. Poniamo di voler analizzare il comportamento di un cattolico nei riguardi dei sacramenti; il sacramento è il valore di riferimento, rispetto al quale vagliamo l’agire del fedele. Non c’è alcun giudizio, nessuna valutazione, ma la presa in considerazione di un valore e dell’azione che ne consegue o che ad esso si riferisce. Questa, secondo Weber, è sociologia. Weber nega anche la possibilità di trovare una causa dei fenomeni, non che escluda le cause, ma nega la possibilità di cause esclusive. Esiste, piuttosto, una connessione tra fenomeni.
Queste analisi metodologiche di Weber sfociano nella costruzione della più nota tra le teorie sociologiche, la costruzione del “tipo ideale” o ideal-tipo. Si tratta di costruire concettualmente delle figurazioni esclusivamente sociologiche che, partendo da una serie di dati empirici, elaborano poi dei tipi ideali, ossia dei tipi non esistenti nella realtà. Ciò non significa che il tipo debba considerarsi falso o arbitrario, è un tipo di riferimento a cui collegare i singoli e specifici fenomeni storici. Noi, ad esempio, definiamo una classe, il potere, la burocrazia ma in realtà non esistono classi, potere, burocrazia: esistono singoli esseri umani, singoli e specifici poteri, singoli burocrati o burocrati di un particolare luogo, di un particolare tempo. Nota RDM: come, con esempio in altro settore, non esiste l’amore, ma stati affettivi di precisi ed indentificabili esseri umani che, per avere un riferimento generale che li racchiuda e permetta di identificarli e considerarli insieme, sono richiamati dal termine amore, usato dai partecipanti allo stesso sociouniverso culturale e simbolico, termine astratto e pur ricco di significato, che sta a rappresentare i rapporti, i valori, gli stati fisici e psicologici, le intenzioni e le azioni che i medesimi stati affettivi costituiscono o presumono, se presenti, o semplicemente richiamano alla mente se parzialmente presenti o assenti. RDM
Il concetto idealtipico di burocrazia, di potere, di classe è una costruzione meramente sociologica che serve però come riferimento per inquadrare la molteplicità dei fenomeni sociali. É, in sostanza, una creazione terminologica opportuna per l’interpretazione dei fenomeni, non lasciati alla loro singolarità. Determinata così la metodologia, Weber analizza la caratteristica mentale dell’uomo nella società: l’azione. Weber ritiene che l’uomo agisce (azione) quando ha un scopo, agisce socialmente (azione sociale) quando il suo scopo è diretto ad altre persone, stabilisce relazioni (relazione) quando il suo scopo è connesso a quello di altri. In quanto ai motivi dell’azione sociale, Weber li distingue a seconda che l’azione sociale sia razionale con riguardo allo scopo e cerca i mezzi opportuni per raggiungerlo; a seconda che l’azione sociale sia razionale con riguardo ad un valore. In tal caso si tratta di un azione compiuta in nome di valori a cui non ci si sottrae costi quel che costi. L’azione sociale è tradizionale quando è dovuta a motivi accolti per abitudine o per tradizione. L’azione sociale è affettiva quando il movente che la determina è l’affetto, l’emozione. Con la teoria dell’azione, dell’azione sociale, della relazione, Weber introduce, con Simmel, uno spostamento della sociologia. Il soggetto diventa fondamentale e lo diventa in relazione all’altro uomo. La società non è un blocco in cui il singolo ha scarsa importanza: esiste essenzialmente nei rapporti tra i singoli. Lo stesso aveva detto Simmel, il quale era stato il primo ad indicare nella relazione sociale la fonte di ogni società e di ogni valorizzazione. Questo spostamento da uno studio della società come insieme alle relazioni tra individui sarà poi elaborato ampiamente da Albert Schütz, il quale finirà per risolvere la sociologia nello sviluppo del quotidiano e delle relazioni quotidiane degli individui.
Max Weber Sociologia del Potere
Weber si occupò specialmente del rapporto degli uomini con il potere. Egli distingue potere da potenza. La potenza è una dominazione arbitraria sugli altri, il potere è una dominazione in certo senso accolta o a cui non si può negare obbedienza. Il potere è dunque legittimo e Weber distingue tra potere legittimo legale, quello in cui è la legge a stabilire e a suscitare obbedienza; potere legittimo carismatico, che è quello in cui l’obbedienza è suscitata dall’apprezzamento per un personalità superiore; potere legittimo tradizionale, quello in cui l’individuo obbedisce perché altri in passato hanno obbedito a chi ha potere.
Com’è evidente Weber si interessò alla espansione dei processi razionali (azione razionale con riguardo allo scopo, razionalità funzionale) nella società. Aveva già dedicato estrema attenzione all’origine ‘razionale’ del capitalismo nel libro “L’etica protestante e lo spirito del capitalismo”. In tale volume Weber stabilisce una connessione (senza per questo dichiarare che esiste un rapporto di causa ed effetto) tra etica protestante (nella quale l’uomo, il fedele calvinista ritiene che il lavoro metodico, il risparmio, l’accumulo, l’investimento possono testimoniare della virtù dell’uomo e farlo ben apparire agli occhi di Dio, anche se solo la Volontà Divina decide su chi va salvato e chi no) e mentalità razionale del capitalismo. L’etica protestante propone dei comportamenti che sono i medesimi che si ritrovano nell’attività dei capitalisti. Ciò non vuol dire che sia stata l’etica protestante a generare il capitalismo né che sia il capitalismo a generare l’etica protestante. È stabilita solo una correlazione. Weber respinge la teoria della causa e degli effetti riconoscibili. Meno che mai accetta la teoria che la base economica sia l’unica determinante per le concezioni e le azioni dell’uomo.
Weber fu colpito, è chiaro da tutta la sua opera, dalla circostanza che la razionalità efficientistica ha ormai pervaso l’intera società. Anche la burocrazia è legata a questi processi di razionalità. I processi di razionalità funzionalistica spinti all’estremo tolgono alla società ogni ‘poesia’. Nasce il disincanto del mondo. Domina una società utilitaristica. La ragione, con ciò, non è che lo strumento per raggiungere determinati scopi. Secondo Weber questa società, la società a lui contemporanea, è ormai una società burocratica. Weber ritiene però che all’interno della società possa nascere una personalità capace di riferirsi alle istanze irrazionali dell’uomo, le quali, oppresse dall’eccesso di razionalità, esploderebbero violentemente.
Dalle Teorie di Max Weber – Sociologia, Religione, Capitalismo
Sulla sociologia considerata come la scienza comprensiva dell’azione sociale.
Weber rifiuta nettamente la massificazione operata da H.Spencer e da K.Marx. Partendo dal dato di fondo che il metodo scientifico procede per astrazione, Weber decide che l’analisi corretta, per arrivare a una conclusione corretta, va fatta iniziando dal soggetto agente nella società, cioè dall’uomo. Studiando il significato profondo delle azioni dell’uomo in interazione con gli altri uomini, si può capire l’agire sociale e perciò spiegare casualmente il suo iter e i suoi effetti.
Sul capitalismo, sulla sociologia comparata delle religioni.
Buona parte dell’attenzione socioeconomica weberiana si basa sullo sviluppo del capitalismo moderno: pur avvertendo sensibilmente l’influenza di Karl Marx, ne restò un critico: respinse, ad esempio, la concezione materialistica della storia e attribuì una minore importanza al conflitto di classe. Secondo Weber infatti, le idee ed i valori influiscono sulla società allo stesso modo delle condizioni economiche.
Max Weber produsse ampi studi sull’impero cinese tradizionale, sull’India e sulle società orientali, con originali e rilevanti apporti di studi alla sociologia della religione. Con modalità comparativa, le conquiste sociologiche weberiane arrivarono a rimarcare la fondamentale influenza delle religione cristiana sulle origini socioculturali ideali, ideologiche e di prospettiva esistenziale del capitalismo.
Lo stesso capitalismo, secondo il pensatore, è uno dei molti fattori che incidono sullo sviluppo sociale. Inoltre anche la scienza, che ha plasmato la tecnologia moderna, e la burocrazia, che è un modo per organizzare grandi masse di persone, sono frutto stesso del capitalismo e quindi determinanti come fattori genetici strutturali del sistema sociale. Weber fa rientrare tutto questo in un processo da lui stesso definito di razionalizzazione, cioè un’organizzazione della vita economica e sociale sulla base dell’efficienza e del sapere tecnico.
Da ricordare, ad integrazione, che secondo Weber alla razionalità del mondo moderno ha contribuito in misura determinante la religione protestante, che rappresenta il disincantamento dal mondo, cioè la fine delle illusioni (i grandi fini e valori del passato per Weber vengono tenuti in vita solo dalla volontà umana). Lo stesso capitalismo non è che l’effetto più rilevante del protestantesimo (da notare che il marxismo sosteneva il contrario).
Si badi però: il capitalismo non è nato dal protestantesimo tout-court ma dal razionalismo, di cui il protestantesimo è stato il veicolo più potente. Il protestantesimo (soprattutto nella sua variante calvinistico-puritana) è tanto ascetico sul piano religioso (in quanto rifiuta di darsi immagini della divinità, inoltre è essenziale nei riti, ha abolito molti sacramenti considerandoli magici, ha affermato il concetto di predestinazione e di sola fide-sola gratia), quanto pratico e attivo sul piano economico.
Il protestantesimo cioè avrebbe capito che all’uomo tutto è possibile se riconosce l’assoluta trascendenza della divinità (il che, in sostanza, è una particolare forma, non palese, di ateismo). Queste caratteristiche di praticità, razionalità hanno raggiunto il massimo di espressione nel capitalismo, che si è liberato di ogni riferimento alla religione nell’agire concreto.
Sull’epistemologia di Max Weber
Si tratta non di una metodologia della ricerca sociale, e tanto meno di una sociologia della scienza, ma di una vera e propria epistemologia. Il principio dell’oggettività quale criterio di scientificità è un vero e proprio principio “logico” (secondo la terminologia fornita dalla stesso Weber), una condizione di possibilità perché il sapere, acquisendo validità intersoggettiva di principio, si elevi al di sopra del carattere contingente delle nostre quotidiane conoscenze soggettive.
L’analisi dell’epistemologia weberiana propone come aspetto peculiare e significativo quello relativo all’avalutatività. L’avalutatività è un principio weberiano centrale nelle considerazioni del sociologo tedesco; in estrema sintesi egli rileva come vi sia una “differenza insormontabile” tra le proposizioni descrittive e quelle valutative, tra le argomentazioni che mirano a ordinare concettualmente la realtà e quelle che mirano a valutarla; mentre le prime hanno il carattere dell’oggettività, poiché pretendono di valere universalmente per ogni individuo dotato di ragione, anche per culture geosociostoricamente lontane, come quelle cinese e statunitense, le valutative sono puramente soggettive, valgono solo per chi le esprime e per chi, soggettivamente, si trova d’accordo con lui; quest’ultime non possono pretendere, cioé, di avere una validità intersoggettiva di diritto.
Sull’obiettivo e oggetto di ricerca storico-sociale riguardanti le scienze sociali
Oggetto e scopo delle scienze storico-sociali (in particolare della sociologia) è la comprensione oggettiva (in quanto “causale”) dell’agire sociale (cioè dotato di senso). Queste scienze hanno il compito di descrivere e spiegare conformazioni storiche individuali e regolarità dell’agire sociale. La comprensione delle scienze storico-sociali è diversa da quella delle scienze naturali, poiché qui le regolarità osservate si possono cogliere ricorrendo a quantificazioni e misure (alla matematica), in quanto per comprendere i fenomeni vanno prima spiegati con proposizioni confermate dall’esperienza (metodo deduttivo). Viceversa, nelle altre scienze, che studiano il comportamento umano, la comprensione è più immediata/intrinseca, nel senso che sulla base dei testi e dei documenti il significato di un comportamento soggettivo/individuale diventa immediatamente comprensibile, senza che si debbano cercare ulteriori conferme per poter stabilire una regola generale. Questo perché tra soggetto e ricercatore c’è un elemento comune: la coscienza (il che implica sempre un certo margine d’insicurezza nell’interpretazione).
Per Weber esiste una sola scienza, perché unico è il criterio di scientificità delle diverse scienze: quello delle spiegazioni causali. Naturalmente è possibile la scientificità anche in presenza di una scelta/selezione operata dal ricercatore, relativamente ai settori d’indagine, ai fenomeni e così via discorrendo. La scientificità non sta necessariamente nell’universalità del sapere.
La selezione si opera in riferimento ai valori. I quali non sono etici, né assoluti o incondizionati, né obiettivi o universali. Riferirsi ai valori per Weber significa semplicemente operare una scelta tecnica fra diversi campi d’indagine. Si tratta, infatti, di determinare, tra gli elementi di una serie causale individuata, uno schema di rapporti che sia suscettibile di controllo tramite verifica. Di qui l’uso della nozione di possibilità oggettiva. Il ricercatore non emette giudizi di valore, semplicemente delimita la propria ricerca per garantirsi meglio un esito scientifico. Si potrebbe in un certo senso dire che l’ottica weberiana ai “giudizi di valore” (che sono personali e soggettivi) preferisce l’espressione “rapporto ai valori”, che implica un processo di selezione/organizzazione della realtà per ottenere una scienza oggettiva.
Ad esempio due soggetti storici possono esprimere giudizi di valore assai diversi sulla libertà politica: ebbene, compito del ricercatore è appunto quello di tener conto che tale libertà costituiva per quei soggetti un “valore”, che le loro interpretazioni erano diverse e che l’affermazione di una invece che dell’altra ha determinato precise conseguenze. Compito del ricercatore non è dunque quello di esprimere un giudizio su questo valore o sull’interpretazione che ne davano quei soggetti. Lo storico sociale deve evidenziare gli aspetti salienti, dominanti di un’epoca, civiltà, formazione sociale, e così via discorrendo, delineandone lo svolgimento secondo un percorso che rispetti una logica causale.
La spiegazione causale non consiste nel riconoscere un evento come necessariamente determinato dalla serie causale (altrettanto necessaria) degli eventi precedenti, ma nell’isolare, in una situazione storica determinata, un campo di possibilità, mostrando le condizioni che hanno reso possibile la decisione in favore di un’alternativa invece che di un’altra. Il significato di questa decisione può essere colto mediante il confronto con le altre possibilità/alternative (Weber cita l’exemplum storico della battaglia di Maratona, in cui si confrontavano due possibilità: la prevalenza di una cultura religiosa/teocratica e il mondo spirituale ellenico. Prevalse la seconda alternativa che, a sua volta, fu condizione di un corso di eventi di carattere universale).
La sociologia deve costatare i fatti non deve esprimere giudizi di valore su queste alternative. Ovviamente accettando il fatto compie indirettamente un giudizio di valore, ma la sociologia non ha lo scopo di ritenere l’affermazione di un’alternativa come un fatto necessario, che doveva per forza accadere, essendo un’alternativa migliore dell’altra.
Nota sul Concetto di Potere di Weber
Roberto Di Molfetta
Max Weber considerò il potere, potere inteso come capacità di veder determinata l’azione sociale degli individui dall’azione di una volontà a loro esterna, come classificabile mediante tre categorie concettuali.
Per Max Weber il potere è di tipo legale, carismatico o abitudinario. Ma la classificazione, generale, può essere fuorviante nella ricerca di soluzioni classificatorie e conoscitive di concreti assetti sociali da indagare e conoscere in modo oggettivo: infatti le categorie weberiane, pur idealtipiche per le stesse dichiarazioni programmatiche dell’autore, cioé non concrete ed esterne ma logiche, deduttive, discorsivo-scientifiche, sono state considerate, in ambito soprattutto divulgativo ed accademico, come assolute per le società intese di conseguenza come blocchi strutturalmente monolitici, come macrouniversi sistemico-sociali dalle enormi dimensioni ma dalle minime differenze sociologiche; riguardo, invece, alle possibili manifestazioni del potere, classificato nel modus weberiano citato, è vero che il potere stesso può essere considerato come appartenente alle tre istanze classificatorie ricordate ed, in modo altrettanto valido, come determinato da altre variabili reali ed indiscutibilmente legate alle precedenti.
Il potere non è e, sopratutto, non deve essere considerato come creato solamente rispetto dai tre fattori che lo generano come legge, carisma, abitudine rispetto all’intera società considerata, presupposta come un enorme gruppo umano che subisce al proprio interno il potere che si genera come massa indistinta di persone, ma è prodotto da questi tre insieme, e, in rapporto imprescindibile, alle variabili e relativi dati pertinenti socioscientificamente, come il tipo di gruppo, le differenze culturali tra gruppi o i parametri psicologici, tutti i fattori intervenienti che, insieme, possono contribuire a considerare i tre fattori non come assoluti ma relativi alla presenza o al mutare delle stesse variabili (indipendentemente dal senso del mutamento). Significativo esempio di ciò è il caso delle variabili qualitativamente e quantitativamente rilevanti per conoscere le differenze tra i rapporti di potere che sussistono all’interno dei ‘vertici’ elitari in diversi settori sociali, come le elites politiche od economiche di una nazione, quelli presenti tra i medesimi vertici elitari e gli altri vertici, della stessa nazione e di altre nazioni, ed inoltre i rapporti di potere che esistono tra gli stessi e la parte restante della popolazione.
Le significative differenze che si possono presumere, già a livello di ipotesi inferenziale, permettono di rendere più utile la teoria weberiana in fase classificatoria, di ricerca e storico-interpretativa nel momento in cui tutta l’analisi scientifico-sociale non si concluda con la tripartizione canonica ma si adegui alle mutate esigenze conoscitive di modellare il tipo di ricerca sul potere alle diverse ‘cellule sociostrutturali’ in cui le scienze sociali già suddividono le società; modalizzando lo schema creato da Weber, adattandolo cioé alle diverse substrutture sociali, sono più facilmente correlabili i modi in cui il potere si determina, si genera, si modifica o scompare, in quanto le stesse fasi socioesistenziali di ogni potere, inteso in senso weberiano, risultano create, in modo cogente, scientificamente conoscibile in modo coerente, dalla dialettica tra parametri sociali (come ad esempio l’istruzione, il reddito, il senso di appartenza, la cultura religiosa) che le scienze sociali tutte considerano già utili ed importanti da conoscere per altre tipologie di indagine.
MATERIALE SU MAX WEBER TRATTO ED INTEGRATO DA:
– Francesco Giacomantonio
“in SWIF – Filosofi e Classici” (ora anche disponibile in file pdf all’indirizzo:
http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/archivio/filearchiviati/classici.zip)
– Cronologia.It
– Università di Bari
– ilDiogene.It
– Biblio-net.com
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