Il Pensiero di Thomas Hobbes
Si parte da un presupposto fondamentale: in Thomas Hobbes qualsiasi proposizione metafisica non è alla portata conoscitiva della mente umana. Or dunque, il compito della filosofia non potrà che essere quello di riversarsi sul mondo umano, ponendosi interrogativi sull’umanità ed escludendo dall’impianto discorsivo la dimensione metafisica.
Quella di Thomas Hobbes è una filosofia esplicitamente razionale che prescinde, per l’appunto, dal soprannaturale. La ragione umana è dotata di un potere straordinario di lungimiranza che concentra l’attenzione sulla selezione di tutti quei mezzi che consentano agli individui di finalizzare, anche nell’immediato stesso, bisogni ed obiettivi. Oltre alla razionalità, è da includersi nella trattazione la componente prettamente materialistica del suo pensiero: ciò che è corporeo e quindi tangibile è l’unica realtà ottenibile su cui poter scorgere i più minuti dettagli. Per Hobbes, l’uomo è in natura egoista, dal momento che è alla incessante ricerca del suo utile; atto, più che spontaneamente, “spintaneamente”, a massimizzare il piacere individuale, allontanandosi quanto più da tutto ciò che lo affligge (il dolore).
Lo stato di natura è uno stato di guerra perpetua di tutti contro tutti (bellum omnium contra omnes) in cui ogni uomo è, per necessità intrinseca, un “lupo” per l’uomo stesso (homo homini lupus). Thomas Hobbes contrasta quindi l’idea aristotelica secondo cui l’uomo è un animale politico, asserendo invece che tra gli uomini c’è in realtà profonda competizione, velata diffidenza e desiderio di gloria individuale. Se due uomini decidono di associarsi non lo fanno per amore o perché provino empatia in senso vicendevole, lo fanno affinché conseguano il soddisfacimento esclusivo di bisogni prettamente reciproci.
Ogni associazione umana sopravvive allorché ciascuno provveda al proprio tornaconto personale. Inoltre, se gli individui non fossero provvisti di ragione, come diretta conseguenza si prolifererebbe una situazione di guerra insuperabile ed insormontabile che comporterebbe la consumazione del peggiore dei mali: quella che è per Hobbes la cosiddetta morte violenta. E’ partendo da questa ragione che l’uomo, per sottrarsi da quest’epilogo inquietante, decide nell’interesse di tutti di porre fine alla condizione di guerra generale, fuoriuscendo difatti dallo stato originario di natura attraverso lo strumento risolutore della consociazione.
E si danno perciò i natali allo Stato, che si fonda sulla stipulazione di un contratto in cui gli uomini rigettano il diritto illimitato dandosi norme e principi da osservare. In questo nesso si materializza il passaggio dallo stato di natura a quello civile, dove ogni individuo sottomette la sua volontà a un unico uomo: il sovrano, colui il quale riflette la potenza assoluta dello Stato.
Thomas Hobbes è infatti un sostenitore dell’assolutismo politico e tra le varie forme di governo predilige la monarchia, rappresentata da una persona (il sovrano) nella quale si riassumono tutte le altre persone (i sudditi).
Segue una tra le frasi più significative riflettenti il suo pensiero da filosofo della politica: “L’uguaglianza naturale fra gli uomini fa sì che tutti vogliano le stesse cose, che tutti tendano alla propria conservazione, alla propria sicurezza, e che di conseguenza vogliano sottomettere gli altri. Da questa situazione nascono la competizione, la diffidenza, il desiderio di gloria, “la guerra di tutti contro tutti”.
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