Karl Marx – Pensiero, vita e opere del sociologo, filosofo, uomo politico, economista.
Karl Marx nacque a Treviri il 5 maggio del 1818, da una famiglia ebrea, convertitasi al protestantesimo (ma di fatto su posizioni agnostiche). Per mezzo del padre, avvocato brillante e colto, Marx ricevette un’educazione di stampo liberale illuministica. Iniziò a studiare diritto all’Università di Bonn, continuò a quella di Berlino, finché non preferì dedicarsi alla filosofia, secondo un impulso, alimentato dalla lettura di Friedrich Hegel, che lo spinse a «cercare l’Idea nella realtà stessa». Dopo essere passato alla Facoltà di Filosofia, si addottorò nel 1841 all’Università di Jena, presentando, come tesi, Differenza tra la filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro.
Abbandonò i progetti di carriera universitaria, in seguito alla politica del governo prussiano, per dedicarsi al giornalismo politico. Divenuto caporedattore della «Gazzetta renana», fu costretto a trasferirsi a Parigi in seguito alla chiusura del giornale da parte del governo, avendo condotto in quel ruolo una strenua battaglia nei confronti delle istituzioni statali. Nel 1843 Marx a Parigi fondò una rivista, scrisse i «Manoscritti economico-filosofici del 1844», testo in cui continuò a esporre le proprie riflessioni sul lavoro «alienato» e la società capitalistica.
Sempre nel 1843 terminò la stesura della Critica della filosofia del diritto di Hegel, in cui si misura polemicamente con i problemi della filosofia politica moderna. In questi anni sposò Jenny von Westphalen, una giovane appartenente all’antica aristocrazia renana, che sarà la compagna preziosa di tutta la sua vita.
Iniziando un’amicizia che durerà anch’essa tutta la vita, nel 1844 incontrò Engels (1820-1895), il quale gli sarà di conforto intellettuale, morale e materiale. La collaborazione dei due iniziò fu politica e teorica: subito, insieme, pubblicarono «La sacra famiglia». Precedentemente, nel corso dell’anno, Marx, incominciava ad approfondire gli studi economici, scrivendo i «Manoscritti economico-filosofici». È maturo il distacco polemico dall’intera filosofia tedesca: si concretizza con l’opera «Tesi su Feuerbach», e, soprattutto, con l’«Ideologia tedesca», nella quale vengono poste le basi della concezione materialistica della storia.
Marx fu espulso dalla Francia, riparò a Bruxelles dove pubblicò un’importante scritto polemico, «Miseria della filosofia», che segna l’adozione esplicita della teoria del lavoro-valore e che rappresenta il totale e polemico distacco da Proudhon. Il tema della classe operaia domina poi nel «Manifesto del partito comunista» steso da Marx con Engels nel 1848. In quello stesso anno i due tornarono in Germania e fondarono a Colonia il quotidiano «Neue Rheinische Zeitung», fautore di un fronte democratico. Marx fu espulso dalla Germania e in seguito, nuovamente, dalla Francia: rifugiatosi a Parigi, infatti, rifiutò di trasferirsi a Morbihan, una zona paludosa della Bretagna, conditio sine qua non posta dal governo francese che voleva concedergli asilo. Emigrò a Londra, trasferendosi con la famiglia; lì visse in condizioni di estrema miseria, aiutato da Engels.
A Londra pubblicò «Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850» e «Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte» (1852). Nel 1867 pubblicò il primo libro del «Capitale» (gli altri due libri usciranno, a cura di Engels, nel 1885 e 1894). Il «Capitale» fu integrato dalle «Teorie sul plusvalore» (1862-63), edite nel 1905. Quanto all’attività politica, Karl Marx costituì una parte primaria nella fondazione (1864) e nelle vicissitudini della Associazione Internazionale dei Lavoratori, o Prima Internazionale, nella quale Marx è figura dominante, fino alla rottura con l’anarchico Bakunin. Nel 1871 sostenne la Comune parigina.
Il punto più avanzato del pensiero politico di Marx (e, politicamente, il più coerentemente estremo e discutibile, nota RDM) è rappresentato dalla «Critica del programma di Gotha» (1875), in cui riaffermò che, in corrispondenza con il periodo di trasformazione rivoluzionaria in una società comunista, si deve avere necessariamente un periodo di transizione «in cui lo stato non può essere altro che la dittatura rivoluzionaria del proletariato». L’occasione era l’unificazione dei socialisti tedeschi a Gotha; la strategia politica che si delineò risultò essere infatti poco rivoluzionaria per Marx.
Negli ultimi anni della sua vita Marx s’interessò ai fermenti politico-economico-intellettuali in Russia e non escluse che da lì sarebbe potuto venire un inizio rivoluzionario. Nel 1881 morì sua moglie Jenny; a distanza di due anni, il 14 marzo 1883, Marx la seguì, compianto da Engels e dal movimento operaio internazionale.
Materiale biografico su Karl Marx tratto da:
antoniogramsci.com
emsf.rai.it (RAI Educational)
Rielaborazione, revisione e confronto del materiale biografico:
Roberto Di Molfetta
OPERE PRINCIPALI
– 1843 Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico
– 1844 La questione ebraica
– 1844 Manoscritti economico-filosofici
– 1845 La sacra famiglia
con: Friederich Engels
– 1845 Tesi su Feuerbach
– 1845/46 Die deutsche Ideologie
Ideologia tedesca
con: Friederich Engels
– 1847 Miseria della filosofia
– 1848 Manifesto del partito comunista
con: Friederich Engels
– 1850 Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850
– 1852 Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte
– 1857/58 Grundrisse der Kritik der politischen Ökonomie, Dietz Verlag, Berlin
Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica
– 1859 Zur Kritik der politischen Ökonomie, Duncker, Berlin
Per la critica dell’economia politica
– 1861/63 Teorie sul plusvalore
– 1867 Das Kapital. Kritik der politischen Ökonomie
Il capitale
– 1871 La guerra civile in Francia
– 1875 Critica al programma di Gotha
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La miseria materiale vissuta da Karl Marx
A cura di
Roberto Di Molfetta
Tratto dal testo
« Marx » – Prof. Umberto Melotti
Università La Sapienza di Roma
Premessa RDM
Si desidera dare esempio dell’estrema miseria economica che coinvolse personalmente Karl Marx, come uomo, padre ed intellettuale, nel periodo più maturo del suo imponente percorso di studioso. Trascendendo questioni squisitamente teoriche, appartenenti al mondo dei suoi scritti e, insieme, delle riflessioni scientifiche affidate agli stessi, si evince dalla sua stessa viva sofferenza umana come l’impegno individuale che egli profuse nel costruire, opera dopo opera, una sistematica analisi sul costrutto sociopolitico ed economico, fondante il sistema di vita occidentale a lui contemporaneo, fu speso sia a sacrificio della serenità personale che del benessere familiare; sacrificio tanto meno discutibile se si desidera rispettare la volontà marxiana di non lasciare nulla di incompiuto, dove era possibile, nel forgiare, tramite la forma scritta, un progetto politico analitico, coerente ed omnicomprensivo, con cui capire e mutare lo sviluppo storico-dialettico occidentale, nella fase dinamica ed insieme anche contradditoria della rivoluzione industriale.
Al di là dei risultati scientifici ottenuti da Karl Marx e da Friederick Engels, suo amico e collaboratore, dei giudizi umani e tecnici che si possono rivolgere alla dottrina sociologica che ne è l’esito globale, delle universali conseguenze politiche scaturite dalla considerazione dei suoi testi, è significativa la parabola personale di chi, per riparare a quelle che considerava storture sociali della storia, sacrificò la sua concentrazione, il suo studio e la salute alla genesi progettuale di un rivoluzionario ed ambizioso sistema sociale, invero prospettiva ottimistica più di quanto si potesse giudicare nel fervore utopistico ottocentesco a lui contemporaneo. Di seguito il testo tratto da Marx, U. Melotti, ed. Vallecchi, Firenze, 1974.
« “Il mio matrimonio” dirà Marx con amara ironia “è più produttivo della mia industria”. L’aiuto, sempre generoso, di Engels non può che mitigare una situazione che spesso è drammatica. Quando nel 1859, dopo un decennio di ricerche, riesce ad apprestare per le stampe il manoscritto di Per la Critica dell’Economia Politica, Marx deve confessare all’amico: “Quel povero manoscritto è finito, ma non posso spedirlo perché non un ho farthing per affrancarlo e raccomandarlo. Quest’ultima cosa è necessaria perché non ne ho copia… Non credo che qualcuno abbia mai scritto sul denaro con una simile mancanza di denaro.”
[…] Nell’aprile del 1853, mentre Marx era ammalato, Jenny […] scrisse [ad Engels]: “Ci può mandare qualcosa ? Il fornaio ha detto che ci taglierà i viveri. Ieri Musch (il figlioletto) lo ha ancora tenuto a bada rispondendogli di no, quando ha chiesto se il signor Marx era in casa. E poi è scappato su coi suoi tre pani sotto il braccio a raccontarlo al suo Moro.”
Nel gennaio 1858 Marx scrive ad Engels rivelandogli che la famiglia non ha di che scaldarsi e che la moglie ha impegnato persino lo scialle. […] La pessima alimentazione, spesso a base di solo pane e patate, il freddo, l’insalubre abitazione nel povero quartiere di Soho, endemico focolaio di contagi, minano peraltro la salute sua e dei suoi familiari. […] In certi momenti la pena è troppo grande anche per lui e s’abbandona al pianto fra le braccia della moglie, come quando, “nel momento della più nera miseria” gli muore la piccola Franziska ed egli non ha neppure i soldi per comperarle la bara (1852). Nel novembre 1849 gli era nato il quarto bambino, il piccolo Guido. Il povero piccino morì un anno dopo la nascita. Nel 1855 la prova più amara: gli muore il figlio prediletto, il piccolo Musch, colpito da tubercolosi intestinale, ma in realtà “vittima della miseria borghese”.
Durante la malattia Marx aveva scritto ad Engels: “Mia moglie da una settimana in qua è ammalata come non mai per un’angoscia morale. E anche a me sanguina il cuore e brucia il capo, sebbene io debba naturalmente darmi un contegno. Durante la malattia il bambino non smentisce un solo istante il suo carattere particolare, cordiale e al tempo stesso indipendente.”. E il 6 aprile, il giorno della morte del bambino: “Il mio dolore tu lo capisci”. »
La critica a Hegel e a Feuerbach
Tratto da
ildiogene.it
La formazione filosofica di Marx è segnata soprattutto da Hegel e da Feuerbach. Il pensiero del primo è sottoposto a un’analisi serrata, nella quale, insieme alla denuncia della pretesa subordinazione della “società civile” allo “Stato politico”, si smaschera l’errore logico che ha portato Hegel a spiegare la realtà particolare deducendola da un principio assoluto, considerando oggetto del sapere non i fatti e gli individui concreti, ma le categorie e i princìpi astratti.
Se l’insistenza sul principio “positivo” dell’esperienza e la rivendicazione di una dialettica del concreto evidenziano l’influsso di Feuerbach sulla critica all’idealismo operata da Marx, questi però considera l’essere individuale, contrapposto all’astratta idea hegeliana, sempre nella relazione sociale. Così riprende da Feuerbach il concetto di alienazione religiosa e lo interpreta come conseguenza di una alienazione più ampia nella società e nello stato. Marx individua la radice di ogni “autoestraneazione umana” nell’effettiva contraddizione storico-sociale tra le classi e interpreta la divisione della società in classi antagoniste come il risultato di una divisione diseguale del lavoro.
L’individualismo capitalistico-borghese e la proprietà privata sono, pertanto, la “conseguenza necessaria” dell’alienazione del lavoro dell’operaio, il quale si vede espropriato sia dei prodotti da lui realizzati, sia della possibilità di determinare la propria attività. Invece il lavoro dovrebbe essere espressione dell'”attività libera e consapevole” di ogni essere umano in un contesto di appartenenza sociale e quindi realizzare la sintesi tra i fini individuali e quelli collettivi della specie.
Questa condizione di lavoro può essere conseguita solo nella società comunista, la quale si prefigge anche la piena integrazione di uomo e natura, sebbene in realtà Marx, avverso a ogni forma di costruzione utopica, non la descriva dettagliatamente in nessuna sua opera.
Il materialismo storico – Alla astrattezza filosofica della sinistra hegeliana e di Feuerbach, tacciati di voler cambiare la realtà con la semplice critica delle idee, si contrappone la concezione materialistica della storia.
La storia è vista come un processo materiale in cui “ciò che gli individui sono coincide immediatamente con la loro produzione, tanto con ciò che producono quanto col modo come producono”. Vale a dire “ciò che gli individui sono dipende dalle condizioni materiali della loro produzione”. Il motore della trasformazione storica risiede quindi nello sviluppo delle forze produttive (struttura) e nel fatto che esse entrano in contraddizione con i rapporti sociali già costituiti, con l’assetto di potere e con le idee dominanti (sovrastruttura).
La rivoluzione comunista, allora, non è l’iniziativa di un gruppo di individui, ma il necessario esito di un preciso processo storico: l’esasperazione della sua condizione di sfruttamento nella società capitalistica porterà il proletariato a organizzarsi politicamente e a opporsi in modo rivoluzionario contro il sistema capitalistico per realizzare l’avvento finale della società comunista.
Critica sintetica al pensiero sociologico di Karl Marx
Autore
Roberto Di Molfetta
Testo critico di riferimento al pensiero di Marx
« Marx » – Prof. Umberto Melotti
Marx non inizia l’analisi storica da un vacuum, da un vuoto metafisico o sociale. Egli piuttosto, rovesciando la metafisica hegeliana, non si interessa in primis di ciò che è culturale, come immaginazione e rappresentazione nella mente umana; predilige come determinante il reale in quanto concreto, non significato da simboli o parole create dagli uomini o dai loro rapporti ideali; egli, cioé, “parte dagli uomini realmente operanti e sulla base del processo reale della loro vita spiega anche lo sviluppo dei riflessi e degli echi ideologici di questo processo di vita. “(Ideologia tedesca). Non ignora la cultura come insieme di significati condivisi socialmente ma individua come variabili principali della storia sociale, o della storia di ogni società, quelle che scaturiscono dalla materia, dall’oggettivo, dai meccanismi operanti oggettivamente nel generare l’assetto sociale.
Concreti, necessari, non ideali ma solo ideologizzabili, sono gli atti quotidiani come mangiare, dormire, abitare e gli altri atti insieme personali e sociali, diversi storicamente da un punto di vista antropologico-culturale ma materialmente in comune tra diverse società umane. Marx vuole in realtà evitare di dare credito alla filosofia classica e ai sogni individuali, che vorrebbero creare pensieri accessori, magari anche stimolanti espressivamente, simulacri ideali che guiderebbero il dispiegarsi delle azioni umane più dei bisogni degli individui, delle necessità psicologiche immanenti; sono i rapporti sociali, necessari come le stesse azioni che li generano, i quali, una volta creati dall’agire individuale, meccanicamente, come autentici sistemi materiali, predispongono le azioni e le condizioni esistenziali degli esseri umani. Produrre i mezzi di sussistenza è condizione che ha creato lo sviluppo storico sociale e che è creata dall’organizzazione fisica degli uomini impegnati (quest’ultimo concetto è approfondimento di F.Engels, Dialettica della natura).
L’analisi marxiana è si geniale ma unilineare, monolitica, dimentica dello stesso processo dialettico che Marx recupera da Hegel con sovrano sforzo anch’esso dialettico. È necessario considerare, infatti, la rilevanza storica della cultura e dei processi psicologici che legano gli esseri umani ai sistemi sociali o ai diversi stati attraversati dai sistemi sociali. Ogni essere umano, o gruppo di esseri umani, possiede una visione del mondo che unisce insieme reale conosciuto, immaginato e sperato. Difficile pensare altrimenti ad epoche storiche create dagli automatici spostamenti o aggiustamenti storici degli uomini rispetto alle condizioni materiali di produzione.
Un tentativo di maggiore rigore analitico prevede una critica sostanziale al materialismo storico marxiano: esso non doveva prescindere, per rimanere anch’esso realistico e non metafisico, dal necessario integrare nella sua visione non epoche dialetticamente considerate tra di loro, sorta di dialogo materiale tra fasi storiche, ma bensì di azioni ed interazioni sociali dialetticamente considerabili come interagenti su di un piano paritario, laddove il piano economico a lungo termine sopravvanza gli altri per questioni legate alla preminenza delle necessità rispetto alle volontà ideali, degli investimenti esistenziali come professioni e mestieri e relativi sistemi giuridici di sostegno rispetto ai sublimi voli pindarici dei sentimenti; possiamo sia vedere le epoche storiche, cioé, determinate dai rapporti meccanici del sistema sia osservare come volontà di scelta, pensiero, cultura condivisa e decisioni personali costituiscano determinanti che influenzano profondamente il momento di creazione o di mutamento del sistema sociale, oltre le specifiche esigenze economiche o comunque materiali e di produzione.
Il substrato strutturale fondamentale, creatore delle idee e delle culture sociali, attraverso un processo continuo di acquisizione di conoscenze oltre le necessità contingenti ma che dalle stesse nasce come stimolo che permetta la stessa vita umana, stimolo insieme tecnico, intellettuale ed ideale, è definito dalla parabola teorica marxista modo di produzione, rapporto tra uomo e natura, da un lato, e tra le persone agenti in una società, dall’altro.
Ogni modo di produzione presuppone rapporti di produzione, relazioni sociali del modo di produzione considerato. È qui che il pensiero di Marx si mostra lacunoso sul piano politico: esso impone come scientificamente osservabile il rapporto conflittuale scaturito dal modo di produzione, rapporto conflittuale tra le grandi classi considerate dalla storia rivisitata da Marx; come quelle che lui definisce proletariato e borghesia. Non è certo insieme conflittuale ed inverosimile una dicotomia reale tra ricchi borghesi e proletari; ma non è sufficiente separare le società umane in due sole classi, elefantiache per quantità e qualità, per ritrovare visualizzabili e riscontrabili tutti i conflitti, tutte le debolezze generatrici di conflittualità, tutte le ritrosie e le asperità generate dagli esseri umani formanti società. Marx radicalizza, forte di una preparazione poderosa in campo economico, il macroconflitto sociale tra datori di lavoro e prestatori di lavoro, conflitto inizialmente del mercato del lavoro dipendente, vedendo unicamente nell’interesse della classe borghese il male assoluto; quando, secondo Marx, gli sfruttati proletari avessero raggiunto l’egemonia politica come necessario interregno dittatoriale, avrebbero potuto realizzare la società senza classi, priva cioé della base stessa conflittuale storica, il conflitto interclassista.
Il collettivismo burocratico degli Stati che, storicamente, hanno applicato teorie di matrice marxista costituisce verifica empirica su di un fatto politico e storico: politicamente e sociologicamente, al variare delle dittature o all’instaurazione delle stesse non è seguito un programmaticamente procastinato socialismo senza classi e senza disuguaglianze, bensì sono nate proteiformi fasi di comunismo di genesi marxista, adeguato localmente, e di avvicinamento a forme di “capitalismo comunista”, vero ossimoro politico moderno, guidate dalla programmazione centralizzata.
Si è insomma non realizzata una società che produce semplicemente senza conflitti di classe, ma soltanto instaurata una dittatura centralizzata a guida burocratica, con funzionari di partito autentici “aristocratici” del sistema comunista, o Nomenklatura, legati dalla centralità partitica a un normativismo totalitario giustificato da valori post-rivoluzionari; lo status quo è lontano dall’avere realizzato un sistema di gestione propedeutico, come programmi politici, economici, di riforme sociali, di una qualunque forma di società priva di gerarchie la quale dovrebbe correggere, come panacea contro i mali endemici dei rapporti di produzione alternatisi nei secoli, i difetti fisiologici dei rapporti sociali fondati su classi oppure su elites. Marx non considerò i sistemi burocratici comunisti di transizione come sistemi elitari di gestione del potere: sostituendo al concetto classista quello elitario, si possono rivisitare le teorie marxiste come fallimentari nel momento in cui concedono il potere dittatoriale ad una aristocrazia burocratica elitaria, che semplicemente sostituisce le non precisate classi sociali dominanti alla guida dello Stato; per queste elites, l’essere fedeli al partito è nodo programmatico unico, così come è difficile aspettarsi da esse una sostanziale, antistorica per lo stesso Marx, cessione di potere, la quale le porterebbe a perdere la loro direzione centralizzata a favore dell’utopia politica di Marx il quale, nel criticare i rapporti di produzione del suo tempo, aveva attribuito in modo diretto lo sfruttamento tra uomini, storicamente, al mercato capitalistico e non ai suoi eccessi o alle sue mancate regolazioni funzionali piuttosto che ad un mancato controllo funzionale, reale e non effimero, di autorità centrali non totalitarie, o anche alla mancata tutela concreta di diritti sociali.
Trascriviamo, insieme dal testo ‘Marx’ del Prof. Melotti e dall’autore originario, Karl Marx: “Nel loro insieme i rapporti di produzione costituiscono la struttura economica della società, ossia la base reale della società sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e politica e alla quale corrispondono forme determinate della coscienza sociale.”. Egli considera le sfere sovrastrutturali (istituzioni sociali e forme della coscienza, come morale, religione, filosofia, teorie giuridico-politiche, arte etc.) apparentemente autonome ma sostanzialmente caratterizzate da una coerenza nei confronti della struttura sociale.
Struttura e sovrastruttura costituiscono un’unità dialettica inseparabile. Il peso assegnato alla sovrastruttura è diversamente attribuibile non in base alle sole condizioni strutturali, si può aggiungere, ma bensì alla struttura globale dell’unità dialettica storico-sociale, al modo, cioè, in cui la sovrastruttura incide, contingentemente, su una particolare struttura economica; ossia nel modo in cui le idee presenti in un sistema sociale modellano, creano o mutano la struttura economica attraverso quella che è, insieme, variabile determinante e variabile determinata, la variabile delle idee, che creano ed organizzano lavoro, essendo organizzazione delle risorse e creazione intellettuale degli individui lavoro e risorsa insieme.
Il Capitale (Das Kapital)
Fonte:
Wikipedia.org
E’ l’opera maggiore di Karl Marx ed è considerata il testo-chiave del marxismo. Il Libro I del Capitale fu pubblicato quando l’autore era ancora in vita (1867), gli altri uscirono postumi. Il sottotitolo dell’opera, Critica dell’economia politica, evidenzia chiaramente la contrapposizione esplicita di Marx all’economia politica di stampo liberista all’epoca dominante. Nonostante la critica netta nei confronti degli economisti classici, rei secondo lui di non aver portato alle logiche conclusioni le loro deduzioni, Marx tuttavia ne apprezza in più punti il valore. Tutto il pensiero di Marx può essere in certo qual modo visto come una riflessione in chiave critica sui temi sollevati da Adam Smith e David Ricardo, tra i massimi esponenti di quella scuola, e la teoria marxiana del valore è chiaramente incardinata nella teoria del valore-lavoro degli economisti classici, tanto che alcuni considerano Marx l’ultimo grande esponente della scuola classica. Marx critica aspramente l’utilitarismo di Jeremy Bentham. Di Bentham stesso ha occasione di dire:
« …l’arcifilisteo, Jeremy Bentham, questo oracolo del senso comune borghese del XIX secolo, arido, pedante e chiacchierone banale (leather-tongued). Bentham è tra i filosofi quello che Martin Tupper è tra i poeti: l’uno e l’altro solo l’Inghilterra poteva fabbricarli. »
(Il Capitale, Libro I, p.666)
Della sua teoria poi dice:
« Il principio dell’utile non è stato un’invenzione di Bentham, il quale non ha fatto che riprodurre senza nessuno spirito quel che Helvétius ed altri francesi del secolo XVIII avevano detto con spirito. Per esempio se si vuol sapere che cos’è utile ad un cane, bisogna studiare a fondo la natura canina. Ma questa natura stessa non si può dedurre dal “principio dell’utile”. Applicato all’uomo, se si vuol giudicare ogni atto, movimento, rapporto, ecc., dell’uomo secondo il principio dell’utile, si tratta in primo luogo della natura umana in generale, e poi della natura umana storicamente modificata, epoca per epoca. Bentham non ci perde molto tempo. Egli suppone, con la più ingenua banalità, che l’uomo normale sia il filisteo moderno e in specie il filisteo inglese. »
(Il Capitale, Libro I, p. 749 nota)
Parole non meno dure riserva a John Stuart Mill, che riprende e sviluppa l’etica utilitaristica di Bentham:
« Il Signor J. St. Mill riesce, con la logica eclettica che lo contraddistingue, ad essere dell’opinione di suo padre James Mill e contemporaneamente di quella opposta. Se si confronta il testo del suo compendio, Principles of Political Economy, con la prefazione (della prima edizione), dove egli si annuncia come l’Adam Smith del tempo presente, non si sa se ammirare più l’ingenuità dell’uomo o quella del pubblico che in piena buona fede gli ha creduto. »
(Il Capitale, Libro I, p.157 nota)
Il Capitale non può essere considerato soltanto un trattato di economia in quanto – parlando del sistema economico – Marx espone anche le caratteristiche generali della società capitalistica e dei rapporti che ci sono tra i suoi componenti.
Alla base del Capitale c’è la tesi del materialismo storico, secondo cui le condizioni e le caratteristiche della vita materiale, incidono inevitabilmente sugli altri aspetti della vita sociale. Marx analizza il sistema capitalistico per capire come questo sia nato e in modo particolare come si sia sviluppato.
L’autore è convinto che le caratteristiche delle diverse società storicamente esistite dipendano essenzialmente dai mezzi di produzione e dalle tecniche produttive utilizzati, nonché dei rapporti sociali di produzione. Per rapporti sociali di produzione si intendono i rapporti tra le varie classi che si fronteggiano nel processo produttivo.
Per esempio il sistema schiavistico era basato sullo schiavo non libero e su un rapporto del tutto dispotico tra padrone e schiavo. La società feudale invece aveva sciolto questo vincolo ferreo, ma pur tuttavia le classi sfruttate erano tenute a effettuare prestazioni lavorative (ad esempio le corvè) per le classi dominanti in virtù di vincoli determinati da leggi, da regole religiose ecc. In sostanza neppure nel medioevo gli uomini erano tutti uguali di fronte alla legge.
Con le rivoluzioni borghesi, invece, nelle società evolute si è affermato il modo di produzione capitalistico, in cui gli uomini sono tutti uguali davanti alla legge. Pur tuttavia i proletari sono costretti a lavorare per i proprietari dei mezzi di produzione a causa di una dipendenza che è tutta economica. Infatti la concentrazione della proprietà dei mezzi di produzione e dei mezzi di sussistenza dei lavoratori nelle mani di alcuni, costringe chi non ha niente a dover vendere le sue prestazioni lavorative per poter sopravvivere e mantenere la famiglia. Marx tenta di spiegare come avviene che – in una società in cui tutti sono liberi e uguali e in cui ogni merce, compresa la forza-lavoro, viene venduta secondo il suo valore – si determina lo sfruttamento dei lavoratori.
Nel primo libro del Capitale viene trattato il problema della merce, la quale presenta un duplice aspetto: ha un valore d’uso in quanto è utile a qualcosa (alla soddisfazione di un bisogno attraverso il consumo o a produrre altre merci) ed ha un valore di scambio perché deve poter essere scambiata con altre merci. Secondo la sua teoria del valore, un prodotto (in base all’equazione valore = lavoro, ripresa dall’economia classica e rielaborata) ha tanto più valore quanto più tempo di lavoro viene impiegato dalla società per produrlo.
La caratteristica che differenzia l’economia borghese dalle altre forme di economia è il fatto che i capitalisti non producono al fine di consumare la merce, ma al fine di accumulare ricchezza. Alla base di questo sistema economico c’è il capitalista, che investe denaro in merci, le quali vengono usate nel processo produttivo per poi venderne il prodotto e ricavarne una somma di denaro maggiore di quella investita.
Ciò è possibile soprattutto grazie al plusvalore che proviene dal pluslavoro dell’operaio, cioè una eccedenza di lavoro prestato rispetto a quello che sarebbe necessario per produrre i beni di consumo dei lavoratori o, ciò che è lo stesso, rispetto al lavoro rappresentato dai salari dei lavoratori. Questo lavoro in più, gratuitamente prestato, rimane a disposizione del capitalista ed è l’unica fonte del profitto. Viene poi spiegata la differenza tra capitale variabile (quello investito nei salari) e capitale costante (quello impiegato per i macchinari e per eventuali acquisti di merci necessarie alla produzione). In modo particolare si evidenziano i rapporti che intercorrono tra i due tipi di capitale, e tra questi e il plusvalore.
Nel secondo libro Marx analizza la circolazione, la rotazione e la riproduzione del capitale, mostrando come e a quali condizioni esso può riprodursi e espandersi. Nell’ambito di questa analisi vengono presentati gli schemi di riproduzione, poi divenuti famosi, che dimostrano come, nell’ambito di una economia di mercato, le condizioni che assicurano una crescita senza crisi possono verificarsi solo casualmente. Tali condizioni coincidono con la necessità che tutta la ricchezza prodotta e non consumata venga impiegata (investita) per dare luogo ai successivi cicli produttivi. Si tratta della stessa condizione Risparmi = Investimenti formulata successivamente da John Maynard Keynes, di cui Marx ha anticipato diverse idee.
Nel terzo libro Marx introduce i molteplici capitali e la concorrenza tra di loro, mostrando che a questo nuovo livello di analisi, più vicino alla realtà delle cose, i prezzi delle merci oscillano attorno ai loro valori, cioè dal lavoro in esse contenuto. I prezzi vengono fatti derivare dai valori attraverso un processo denominato trasformazione dei valori in prezzi di produzione. Sempre nel terzo libro Marx formula la nota legge della caduta tendenziale del saggio del profitto in base alla quale – con lo sviluppo della produttività, che richiede sempre meno lavoro per produrre la stessa quantità di merci, e dell’accumulazione del capitale, che determina l’espansione in valore del capitale sociale – a una determinata quantità di lavoro si contrappone un valore del capitale crescente. Poiché il lavoro è l’unica fonte del profitto, il saggio del profitto, che è il rapporto tra plusvalore e valore del capitale impiegato, è soggetto a una tendenza storica a ridursi, tendenza contrastata da “cause antagonistiche”. La dialettica tra queste tendenze è un’ulteriore causa delle crisi. Infine, nello stesso libro, Marx esamina le forme di capitale non produttivo (capitale mercantile, capitale dato a prestito, ecc.) e la rendita. Marx da un lato riconosce un ruolo storico propulsivo al progresso svolto dall’economia borghese, che ha liberato gli uomini dai vincoli personali di dipendenza giuridica e ha liberato le forze produttive dai vincoli che ne ostacolavano lo sviluppo nei precedenti sistemi. Nel contempo egli dimostra l’aspetto critico di quell’economia, tant’è che evidenzia le sue contraddizioni, che si manifestano nelle crisi, che porteranno ad un’altra struttura economico-sociale: il comunismo, in cui anziché essere la mano invisibile del mercato a determinare le scelte economiche, saranno gli uomini liberamente associati a stabilire cosa e come produrre, e come ripartire i beni prodotti.
La prima divulgazione in lingua italiana del Capitale, sotto forma di compendio del Libro I, fu opera dell’anarchico Carlo Cafiero. Il testo, che constava di 10 brevi capitoli (126 pagine in tutto), fu terminato nel marzo del 1878 e pubblicato il 20 giugno 1879 col titolo: Il capitale di Carlo Marx brevemente compendiato da Carlo Cafiero. Libro primo. Sviluppo della produzione capitalista. Infine il testo dell’opera fu tradotto in italiano nel 1886 e pubblicato per la prima volta, seppur in versione incompleta, dalla Unione Tipografico-Editrice di Torino (UTET) allora diretta dal genovese Gerolamo Boccardo che riunì 43 dispense pubblicate in precedenza. Resterà l’unica traduzione italiana fino al secondo dopoguerra.
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