La biografia di Niccolò Machiavelli
Quando si ritirò a vita privata si dedicò allo studio della politica e della storia.Morì sempre a Firenze, nel 1527, dopo aver assistito alla nuova caduta del principato mediceo per l’invasione dell’esercito imperiale.
Machiavelli è considerato tra i primi ad avvertire l’esistenza dello Stato moderno – anche se non lo definì esplicitamente – e il precursore dell’utilizzo nelle sue opere del termine “Stato” attribuendole un significato inedito.
Le opere maggiori di Machiavelli
Un’altro scritto famoso è l’opera teatrale La Mandragola (1518), una commedia conserata un vero capolavoro del teatro del Cinquecento e un classico della drammaturgia italiana.
Lo stile letterario scelto da Machiavelli e che emerge dai suoi lavori è mirato a produrre testi utili. Per questo motivo il suo modello linguistico è particolarmente caratterizzato dall’uso di modi di dire, proverbi facilmente comprensibili a tutti. Il lessico machiavellico, di conseguenza, impiega parole di uso comune con già fece Boccaccio e i latinismi sono propri del gergo cancelleresco.
Machiavelli si avvale di metafore affinché il significato delle parole sia rafforzato dagli stereotipi dell’immaginario comune.
Il concetto astratto viene messo da parte per offrire al lettore esempi concreti, essenziali e tangibili.
Proprio per queste caratteristiche il suo stile può essere definito fresco – come fece il filosofo Nietzsche in Al di là del bene e del male – infatti, la capacità che va riconosciuta a Machiavelli è di rendere evidenti dei concetti che attraverso linguaggio più elaborato risulterebbero quasi indecifrabili.
Il pensiero di Niccolò Machiavelli
Nel Principe Machiavelli concentra la sua attenzione sulla nuova forma di organizzazione politica nata nell’Italia del suo tempo, cioè il principato. In quest’opera, infatti, descrive i principati, da lui chiamati “Stati”, dal punto di vista della loro nascita, del loro mantenimento e della loro estinzione.
Già in questa formulazione del tema si può notare la sua considerazione dello Stato come singolo individuo, dotato di vita propria. Tale impressione è confermata dal fatto che egli applichi allo Stato le leggi che a sui giudizio valgono per la vita degli individui, cioè quelle per cui ogni individuo tende prima di tutto ad auto-conservarsi, ovvero a sopravvivere.
Pertanto il fine di ogni individuo – e perciò di ogni Stato – non è la felicità o il bene in quanto tale, bensì semplicemente l’esistenza e la predisposizione a non interrompere il ciclo della propria specie.
La stessa visione pessimistica vale, secondo Machiavelli, per gli Stati i quali non hanno come fine il bene comune dei cittadini – come dicevano gli Scolastici – o il vivere bene di ciascuno – come sosteneva Aristotele – ma piuttosto la conservazione di sé attraverso il mantenimento dell’ordine all’interno e della pace all’esterno in vista della mera sopravvivenza.
Per questo motivo la politica diventa del tutto autonoma dall’etica, non si preoccupa più – come nell’antichità e nel Medioevo – di ciò che è bene e di ciò che è male ma solo di ciò che giova o nuove alla conservazione del potere: in vista di tale fine sono leciti tutti i mezzi compresi l’inganno, la violenza e la frode, nonché l’uso strumentale della religione.
Il principe – dice Machiavelli – deve essere il lione e la golpe, violento e astuto, oppure mezzo uomo e mezzo bestia, come il mitologico centauro. Egli deve sapersi avvalere del corso immutabile degli eventi naturali, ovvero di quella che Machiavelli chiama fortuna: la capacità di prevedere e assecondare questi avvenimenti in modo da trarne vantaggio per realizzare i propri fini.
Questa capacità per il filosofo fiorentino è talmente indispensabile da essere considerata una vera e propria virtù. Non tragga in inganno la parola, infatti, non si tratta di un elemento con significati morali ma più semplicemente intelligenza, spregiudicatezza e abilità politica.
Questa concezione, a causa dell’ammissione di un andamento ciclico degli eventi naturali, che in alcuni frangenti fa pensare alla dottrina dell’eternità del mondo, fu giudicata aristotelica dai neoplatonici contemporanei di Machiavelli. Effettivamente egli desume molte delle sue sue spiegazioni della genesi e della decadenza degli Stati proprio dai libri centrali – quelli concernenti la rivoluzione – della Politica di Aristotele.
Per altri aspetti, tuttavia, l’apparato filosofico Machiavellico si colloca agli antipodi della concezione aristotelica della politica, in modo particolare per la separazione netta stabilita tra la politica e l’etica, oltre che per il fine attribuito allo Stato. È certo, comunque, che l’autore de Il principe, non considerasse il principato come la forma ideale di Stato e che egli ne analizzasse il funzionamento nella sua opera soprattutto allo scopo di indicare una via per la realizzazione di un unico principato italiano capace di liberare l’Italia dalla dominazione straniera iniziata proprio durante la sua vita.
Nei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, Machiavelli esamina non più i principati esistenti nel suo tempo, bensì un’altra forma di organizzazione politica: la repubblica che egli considera nettamente preferibile se non la migliore in assoluto.
La realizzazione esemplare della repubblica si è verificata – a suo giudizio – nel’antica Roma. Anche di questa egli studia il funzionamento con gli stessi criteri con cui ne Il principe ha studiato il principato, ossia considerandola come finalizzata unicamente alla sopravvivenza. Per questo Machiavelli indica nella costituzione mista – un elemento monarchico come i consoli, un elemento aristocratico come il senato e un elemento democratico come i tribuni della plebe – la costituzione per eccellenza, in quanto capace di assicurare la maggior stabilità dello Stato.
Non si tratta, come si può facilmente dedurre, di una motivazione di carattere etico che pure era presente in alcuni sostenitori antichi – come Platone, Aristotele e Cicerone – di questo di di costituzione; si tratta piuttosto di una motivazione di carattere esclusivamente politico nel senso moderno, cioè potremmo dire di biologia sociale, come in qualche misura si riconosce in altri autori antichi come Polibio.
Ricordiamo che questa considerazione della storia introdotta da Machiavelli ha influenzato molti autori. È il caso, ed esempio di Francesco Guicciardini che nella sua opera Considerazioni sui discorsi di Machiavelli contesta la pretesa del suo predecessore che la storia si svolga come la natura, secondo leggi immutabili e he pertanto una situazione come quella dell’antica Roma, possa essere considerata esemplare rispetto alle altre.
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