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Sociologi Famosi | IT > Autori di Scienze Sociali > Jurgen Habermas | Sociologo Tedesco

Jurgen Habermas | Sociologo Tedesco

10 Gennaio 201631 Gennaio 2021 Roberto Di Molfetta
Jurgen-Habermas



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Biografia di Jurgen Habermas e Pensiero

Jurgen Habermas nasce a Gummersbach il 18 giugno 1929. Figlio di un padre industriale, da adolescente, come molti a quell’epoca, è costretto a far parte della “Gioventù hitleriana”. Si laurea nel 1954 a Bonn con una tesi sul filosofo idealista Schelling. Lavora quindi come giornalista, occupandosi prevalentemente delle tendenze sociali e intellettuali del suo tempo, formandosi come intellettuale grazie ai paradigmi accademici di T.Adorno e M.Horkheimer, legato all’Istituto di ricerca nelle scienze sociali, a Francoforte, dagli storici e fecondi studi scientifico-sociali.

Nel 1956 infatti è assistente di Theodor Adorno, all’Istituto per la ricerca sociale stesso, dedicandosi all’analisi sociologica del movimento studentesco. In questi anni, nel 1962, entra come professore di filosofia presso l’Università di Heidelberg.

Nel 1964 Jurgen Habermas torna a Francoforte come professore di sociologia e filosofia e quattro anni dopo pubblica il saggio Scienza e tecnica come ideologia, mentre il movimento di protesta studentesco raggiunge il suo culmine. Habermas critica l’ala attivista del movimento, accusandola di “tendenze fasciste”.

Sempre nel 1968 pubblica Conoscenza e interesse, primo tentativo di fondazione teoretica della teoria critica di cui è creatore riconosciuto. Nel 1970 esce Logica delle scienze sociali, uno studio di impianto filosofico delle scienze sociali. Nei quattro anni dal 1971 al 1983 è direttore, con C.F.von Weizsäcker, del Max Planck-Institut di Starnberg, in cui vengono effettuati studi e ricerche su vari aspetti del mondo tecnico-scientifico.



Dal 1974 fino al 1980 compie studi sull’evoluzione sociale e la psicologia dello sviluppo, studi che lo conducono alla pubblicazione dei due volumi della teoria sull’agire comunicativo nel 1981. Dal 1982 insegna nuovamente filosofia a Francoforte.

Nel 1985 Jurgen Habermas pubblica Il discorso filosofico della modernità; un anno più tardi intraprende un progetto di ricerca sulla filosofia del diritto e la teoria della democrazia. Nel 1988 esce Il pensiero postmetafisico. È dal 1994 professore emerito a Francoforte e alla Northwester University di Chicago.

Attualmente professore emerito, avendo ormai effettuato un’ampia revisione della «teoria critica» della scuola di Francoforte, è intervenuto più volte nella discussione sui princìpi della speculazione morale, sia in Europa che negli Stati Uniti, occupandosi delle relative teorie etiche. Respingendo personalmente il revisionismo storico, Jurgen Habermas ha partecipato attivamente contro ogni tentativo di rilettura teorica e storica del recente passato tedesco in un’ottica giustificazionista.

Opere di Jurgen Habermas

-Storia e critica dell’opinione pubblica (1962)
-Logica delle scienze sociali (1967)
-Teoria e prassi nella società tecnologica (1968)
-Conoscenza e interesse (1968)
-Teoria della società o tecnologia sociale (1971, con N. Luhmann)
-Teoria dell’agire comunicativo (1981)
-Profili filosofico-politici (1981)
-Etica del discorso (1983)
-Il discorso filosofico della modernità (1985)
-Il pensiero post-metafisico (1988)
-Dopo l’utopia (1981)
-Fatti e norme (1992)
-Testi filosofici e contesti storici (1991)
-Dall’impressione sensibile all’espressione simbolica (1997)



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Jurgen Habermas – Pensiero

Habermas cerca di definire una teoria finalizzata alla comprensione dei fenomeni sociali che superi il riduttivismo di tipo positivistico, da lui avversato anche nella celebre polemica-dibattito contro Popper.

Habermas rifiuta il realismo ingenuo del primo positivismo e l’induttivismo della tradizione empirista, partendo dalla semplice sua considerazione personale che la tecnica non è mai cosa neutrale, ma il frutto di una precisa scelta ideologica umana, la quale privilegia il momento della manipolazione strumentale della realtà a scapito del momento creativo e espressivo. Un ottica cioé vista come manipolante i fatti poiché autoproducente il discorso tecnico-metodologico presunto oggettivo ma in realtà già distorsivo della realtà.

Al di là della critica possibile di una eventualità ciclicità delle critica su ciò che è realmente oggettivo sui fatti o interpretante e di guida ideologica all’accertamento degli stessi (il problema ontologico rispetto a quello del metodo) -nota RDM- in Conoscenza e interesse Habermas mostra come ogni discorso scientifico parte necessariamente da presupposti teorici che non riproducono fatti in sé ma dipendono dall’organizzazione delle esperienze rispetto a quello che egli chiama agire strumentale, cioé un agire determinato da situazioni particolari e orientato verso fini individuali, considerato dal sociologo come meramente “tecnico” e “non sociale”.

A questo “agire strumentale” Habermas verrà contrapponendo l’agire comunicativo. Habermas, insomma, tende a vedere il momento conoscitivo non assoluto e trascendente rispetto al fenomeno sociale che si studia: per quanto lo scienziato sociale possa sforzarsi, ingenuamente o con un poderoso apparato critico, di dare spiegazioni distaccate e obiettive di un fenomeno studiato, queste spiegazioni non possono essere “leggi” valide una volta per tutte. Possono solo essere “interpretazioni”, cioé legate al contesto in cui lo scienziato si colloca come individuo storico e componente sociale; così l’azione umana è una di una serie di azioni di ricerca scientifica della verità continuamente riesaminate e poste in discussione.

In terzo luogo, Habermas, partendo da un tentativo di interpretazione e critica della società del tardo-capitalismo, elabora l’idea della necessità di una dimensione di “razionalità sostanziale” da contrapporre a una “razionalità strumentale” di tipo tecnologico. A tale idea risulta connessa, in polemica con un altro sociologo tedesco, Niklas Luhmann (1927-94), la critica alle strutture produttrici di alienazione, alle distorsioni derivanti dal potere come azione umana di dominio coercitivo, ai nefasti effetti delle ideologie sulla comunicazione all’interno della sfera sociale.

L’obiettivo di Habermas è l’elaborazione di una teoria globale dell’azione e dei sistemi sociali. Ciò spiega la tendenza del filosofo-sociologo ad assimilare, dialetticamente, anche in modo eclettico, elementi delle più diverse posizioni di pensiero, integrandole con il proprio articolato sistema teorico.

Egli si confronta così con la teoria dell’azione di Max Weber, col materialismo storico, col funzionalismo e neofunzionalilismo (Parsons, Luhmann) con la sociologia fenomenologica di Schutz, con l’interazionismo simbolico di Mead, con l’etnometodologia di Garfinkel e Cicourel, con la filosofia del linguaggio di Wittgenstein, Austin e Apel, fino all’ermeneutica di Gadamer e alle posizioni della psicologia cognitivista e della psicanalisi di Freud.

Nel pensiero habermasiano assume un ruolo centrale anche il concetto-programma di una comunicazione senza limiti e non autoritaria. Si tratta di una situazione discorsiva ideale che Habermas delinea come soluzione ai problemi della società e della politica nel mondo contemporaneo. La possibilità che tutti i gruppi sociali, dai politici agli intellettuali, dagli scienziati-tecnocrati all’opinione pubblica in generale, comunichino liberamente e siano partecipi in egual misura del dibattito sui problemi sociali, è vista da Habermas come la migliore difesa contro fenomeni quali le ideologie, l’alienazione, la sottomissione del momento politico alle logiche della tecnica e dell’economia, la crisi di identità dell’individuo, i rischi impliciti nella globalizzazione guidata.

Qualche riflessione (su e) di Jurgen Habermas – Pensiero

Nella prima fase del suo pensiero le sue fonti di ispirazione sono state prevalentemente Hegel e Marx, nell’interpretazione moderna data dalla scuola di Francoforte.

In svariati saggi, raccolti in Teoria e prassi (1963), oltrechè in Storia e critica dell’opinione pubblica (1962) e Sulla logica delle scienze sociali (1968), Habermas si domanda con insistenza che cosa significhi prassi, cioè l’agire politico nelle democrazie della seconda metà del Novecento, in cui il problema della pubblicità politica si è trasformato in un’organizzazione del consenso attraverso l’uso del sistema dei mass-media.

La teoria da lui proposta sull’agire comunicativo è insieme libertà culturale e politica, avanzata da una razionalità discorsiva che è ipotizzata in grado di contrapporsi al dominio dell’agire strumentale, cioé della tecnica, della burocratizzazione, del sapere tecnologico implicitamente propagandistico o strumentalizzante. Un principio, nato nell’era contemporanea, porta ad intendere il pubblico come depositario dell’Opinione Pubblica, cui è attribuita una funzione critica, anche nei confronti del potere in vigore: il suo strumento e veicolo è la pubblica argomentazione di tipo razionale.

Nella società novecentesca però l’audience, il pubblico, il quale la medesima opinione pubblica dovrebbe costituire e costruire, è diventato puro e semplice consumatore di cultura, le cui opinioni sono ricontestualizzate, risemantizzate quindi usate e strumentalizzate attraverso i mass-media; secondo Habermas, abbiamo una seconda dimensione, meno palese, quella del tramonto della sfera discorsiva pubblica, intesa come critica sugli argomenti volti alla ricerca del consenso, alla persuasione sociopolitica.

Centrale è la preoccupazione di Habermas per il declino di questa sfera pubblica intesa come partecipazione degli individui alle grandi scelte collettive; nel capitalismo maturo, post-industriale, nella società dell’informazione e dell’automazione, modelli che permeano e plasmano il mondo occidentale e i grandi subsistemi che trasversalmente gli sono legati, il posto della discussione e critica è occupato da una diffusa e pervasiva manipolazione dei valori e delle coscienze.

Ciò a danno della forte individualità della persona, impossibilitata a criticare le istituzioni e soprattutto il modo in cui il potere si rende istituzionale perciò legittimo; non vi è opposizione del discorso habermasiano contro il potere costituito ma contro la rendita burocratica che lo stesso potere, pur legittimato, usa per impedire la libera critica e quindi la libertà individuale, la quale nasce dall’intesa tra persone, dall’agire comunicativo degli individui.

Infatti la, a proposito di una libertà individuale intrinsecamente correlata alla libertà critica, abbiamo, dall’autore: “I diritti politici di partecipazione si riferiscono all’istituzionalizzazione giuridica d’una pubblica formazione dell’opinione e della volontà, che si concretizzi da ultimo nella deliberazione d’indirizzi politici e leggi (cioé le attività tecniche legislativa e politica centrate sui leaders politici e sugli amministratori in senso puramente tecnico, nota RDM).

Questo processo deve realizzarsi in forme comunicative che fanno valere sotto due aspetti il principio di discorso. In primo luogo tale principio ha il senso cognitivo di filtrare contributi, temi, ragioni e informazioni, in modo tale che i risultati raggiunti abbiano il carattere presuntivo dell’accettabilità razionale.

In questo senso il procedimento democratico deve fondare la legittimazione del diritto. Tuttavia il carattere discorsivo della formazione dell’opinione e della volontà ha anche il senso pratico di creare rapporti d’intesa che […] dunque svincolino la forza produttiva della libertà comunicativa” [Habermas, 1996, pp.180,181].

Soffermandoci sullo stesso principio politico e sociostorico, quello relativo alla sovranità popolare, trattato al primo dei due punti del testo habermasiano, esso “richiede il trasferimento della competenza legislativa alla totalità dei cittadini, i quali soltanto riunendosi “insieme” possono generare la forza comunicativa di convinzioni comuni. Ora, per un verso non possiamo decidere in maniera fondata e vincolante circa indirizzi politici e leggi se non consultandoci e deliberando “face to face”. Per un altro verso non tutti i cittadini possono materialmente “riunirsi”, sul piano delle interazioni dirette e semplici, in una simile prassi collettiva. Una via d’uscita la offre il principio parlamentare”.

Il legame dialogico e dialettico tra potere riconosciuto come rappresentativo del flusso di informazioni così determinato non può essere che reciproco, pena lo sbilanciamento verso il paternalismo dall’alto o la disaffezione democratica dal basso (ad esempio la scarsa percentuale di elettori presenti al momento decisivo del voto durante le elezioni presidenziali statunitensi, fatto relativamente abituale e mai sufficientemente rimarcato, in ogni ambito politico similare, dagli analisti delle democrazie mondiali e delle loro caratteristiche costitutive, nota RDM).

Il vincolo esistente tra la sfera pubblica, politica e le dimensioni private dei soggetti conferisce alla società civile una sensibile predisposizione alla percezione e all’individuazione di situazioni problematiche emergenti, che attraverso canali formali (come il dialogo con i propri rappresentanti politici) ed informali (come i mass media) di comunicazione possono venire iscritti nella “pubblica agenda”.

Habermas avverte qui appunto l’obiezione del linguaggio come possibile strumento di dominio, cosicchè diventa fondamentale mettere in dubbio il consenso di fatto vigente e, di conseguenza, esercitare una critica dell’ideologia. Unico esempio riscontrabile agli occhi dello studioso, sulla conoscenza di sé stessi e della propria liberazione, è dato dal metodo psicoanalitico, che porta alla luce della conoscenza razionale dimensioni inconscie e connessioni simboliche, tramite cui un soggetto inganna e illude se stesso.

Ogni consenso raggiunto di fatto può ingannare, ma a fondamento della nozione di consenso illusorio o coatto deve già esserci quello di consenso razionale, spiega Habermas.

L’intendersi è un concetto normativo a priori, conosciuto istintivamente da ciascuno: esso rimanda ad una forma di comunicazione in cui i partecipanti cercano argomentazioni per arrivare ad un consenso ottenuto liberamente e capace di valere come razionale, non come arbitrario o, peggio ancora, casuale.

Le indagini di Habermas arrivano in questo modo a far leva sulla dimensione linguistica dell’agire e si avvicinano a quelle condotte, nello stesso tempo, dal contemporaneo Karl Otto Apel, nato nel 1922 a Düsseldorf e professore dal 1972 all’Università di Francoforte, autore di saggi raccolti in Trasformazioni della filosofia (1973) e in Discorso di responsabilità (1988). Secondo Apel, si tratta di pervenire ad una fondazione universale e razionale dell’agire partendo dall’analisi del linguaggio.

In questo senso, egli tenta di coniugare la prospettiva trascendentale, propria della tradizione kantiana, con la cosiddetta svolta linguistica. Secondo Apel, chi parla avanza sempre di fatto pretese di comprensibilità (sulla base della correttezza grammaticale), di verità (in base ad un corretto rapporto semantico tra ciò che si dice e la realtà), di veridicità (come espressione linguistica non distorta di quello che è lo stato interno del parlante) e di giustezza (ossia di adeguamento alle norme della comunità dei parlanti).

Queste pretese non possono non essere avanzate, se non altro, implicitamente, in qualunque atto linguistico: infatti, se non fossero avanzate, il parlante cadrebbe in quella che Apel chiama un’ autocontraddizione pragmatica o performativa. Tale è, per esempio, il caso di uno che affermi: “Dico che io non esisto”, questo enunciato produce una contraddizione pragmatica, in quanto il contenuto proposizionale di esso (“io non esisto”) contraddice l’atto stesso del dire.

L’insieme delle pretese, avanzate in ogni atto linguistico, forniscono dunque, secondo Apel, le condizioni formali minime per garantire, da punto di vista procedurale la comunicazione ideale. Tale comunicazione non è realizzata di fatto, ma funziona da principio regolativo delle comunicazioni che avvengono realmente: il rispetto di esso garantisce l’imparzialità della discussione e il raggiungimento di un’intesa e un consenso universali.

Secondo l’autore, che si riallaccia al discorso di Habermas sulle possibilità discorsive delle varie componenti sociali, sono validi infatti i princìpi e le norme relative all’agire che vengono riconosciuti da chi argomenta in modo imparziale, senza dei particolari interessi.



MATERIALE su Jurgen Habermas tratto da:
– Geocities.com/dyeg83
a cura di Diego Fusaro
– Sapere.it
– Francesco Giacomantonio
“in SWIF – Filosofi e Classici” (ora anche disponibile in file pdf all’indirizzo:
http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/archivio/filearchiviati/classici.zip)
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Roberto Di Molfetta, 1974, nativo di Salerno, da madre romana e padre di Ceccano (Frosinone), ha avuto parecchie città di residenza, ma deve la sua formazione soprattutto al periodo ventennale trascorso nel centro della Capitale. Laureato in Comunicazione alla Sapienza di Roma, si occupa ormai da anni di Web Marketing, ottimizzazione per i motori di ricerca e creazione di siti Web.
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