Anthony Giddens – Sociologo studioso della globalizzazione
Anthony Giddens (Londra, 18 gennaio 1938) è un sociologo e politologo britannico.
Vita del sociologo Anthony Giddens
Nasce il giorno 18 gennaio 1938 nell’area londinese di Edmonton, all’interno di una famiglia benestante della media borghesia. Il padre, impiegato dei trasporti, permette al figlio di proseguire gli studi universitari, il primo della sua famiglia, che termina nel 1959 con la laurea presso la Hull University. Successivamente consegue il master presso la London School of Economics e poi, nel 1974, il dottorato (PhD.) all’Università di Cambridge. Nel frattempo, nel 1961 comincia ad insegnare psicologia sociale presso la University of Leicster, per proseguire poi l’insegnamento presso l’università di Cambridge, dove resterà per molti anni, fondando anche il Comitato di Scienze politiche e sociali (SPSc).
La prima fase della sua vita accademica e del suo pensiero è principalmente rivolta ad un lavoro di critica della tradizione sociologica. Numerose le opere riguardanti le diverse correnti disciplinari e gli autori che più hanno segnato la sociologia, nel tentativo di formulare un approccio critico specialmente verso ill materialismo storico e il funzionalismo. L’opera di certo più importante del periodo è “Capitalism and Modern Social Theory” (1971) dove sostiene che, nonostante le differenze dottrinarie, i lavori di Marx, Durkheim e Weber condividevano l’esigenza primaria di studiare il capitalismo e i suoi effetti sulla vita sociale, affermando così che la sociologia nasce come tentativo di spiegare le trasformazioni delle istituzioni e del potere portate dall’industrializzazione. Tra questo tipo di opere, seppure di un periodo successivo (pubblicato infatti negli anni ’80), il breve libro sul contributo di Durkheim, nel quale individua un percorso di studio (la sociologia come scienza morale) del sociologo francese ben preciso, fornendo una visione delle sue opere lineari e chiara.
L’interesse di Giddens non si ferma solamente agli aspetti teorici. Nel 1976 da alle stampe “New Rules of Sociological Method” dove, richiamando la famosa opera di Durkheim, si sofferma sulla lunga diatriba sociologica fra macro livello (ossia la dimensione generale della società, come struttura e processi) e micro livello (la dimensione pratica e quotidiana della vita sociale, le sue interazioni e i suoi significati). Criticando l’approccio durkheimiano e l’irriducibilità della società agli individui (la società sui generis come oggetto di studio), Giddens propone la sociologia interpretativa weberiana, che si sofferma sui motivi e gli stimoli delle azioni individuali. Il sociologo inglese non sposa l’idea weberiana dell’individuo come unità centrale d’analisi, ma afferma l’interazione tra i due elementi (realtà collettiva e individuo): in altre parole, le strutture della società hanno effetti sulle persone che nelle loro azioni producono le strutture stesse. L’unità d’analisi diviene così la pratica sociale che da forma al mondo sociale e che comprende sia una componente strutturale sia legata all’attore.
Negli anni successivi, Giddens esplora più in profondità la relazione fra macro e micro arrivando a formulare la sua nota teoria della strutturazione. In questa fase, lo studioso è impegnato nel difficile tentativo di trovare una sintesi fra forze sociali e individuali nel formare la realtà. Nel 1979 viene pubblicato “Central Problems in Social Theory”e, nel 1984, “The Constitution of Society”. Il punto centrale del pensiero di Giddens è il riconoscimento che così come le azioni individuali sono limitate dalle strutture, allo stesso modo esse sono portatrici del cambiamento sociale. Le azioni agiscono sulla realtà che è formata e forma poi le azioni stesse. Le strutture, quindi, sono quell’insieme di regole e risorse che gli attori mettono in campo nelle pratiche che producono la società stessa. Il concetto di dualità della struttura cerca di spiegare proprio questo aspetto: le strutture impongono vincoli sulle azioni ma in pari tempo le rendono possibili. Il collegamento tra azione e struttura diventa una questione centrale nella sociologia di Giddens: perché entrambe siano comprese devono essere studiate insieme (le prime, infatti, sono formate, rafforzare e cambiate attraverso le azioni e queste assumono senso solo sullo sfondo delle strutture). In Giddens, quindi, lo studio della strutturazione del sistema sociale diviene lo studio di come il sistema, nel generare risorse e norme strutturali, è riprodotto dall’interazione sociale.
La strutturazione si propone così come una formula di sintesi della relazione micro-macro. Per Giddens ricercare una linea di casualità tra le due estremità che sia unilineare è un esercizio intellettuale minato alle fondamenta da una consequenzialità logica falsa. Giddens nei suoi diversi esempi (la trasformazione del matrimonio e della famiglia, la relazione tra capitalismo e società…) mostra come le influenze, infatti, siano reciproche e sia impossibile definire se sia il livello macro o micro a determinare l’opposto, quanto piuttosto ricercare il ciclo sociale delle numerose influenze fra i due livelli.
Dopo l’esperienza trentennale all’università di Cambridge, nel 1997 diviene direttore della London School of Economics (fino al 2003) e membro del consiglio direttivo dell’Institute for Public Policy Research. In questo periodo si affaccia anche alla politica divenendo consulente dell’ex primo ministro britannico (Tony Blair) e partecipando a discussioni parlamentari. A portarlo alla ribalta sulla scena politica è soprattutto la sua idea di “terza via” (nel proporre una nuova forma di riformismo districandosi tra vecchio socialismo e nuovo capitalismo) che sarà al centro dell’indirizzo politico formulato da Blair e Clinton.
Gli impegni politici di quest’ultima fase testimoniano un cambiamento negli interessi del suo pensiero. Giddens, infatti, dall’inizio degli anni ’90 comincia a concentrarsi sullo studio della modernità, delle sue tendenze e dei suoi effetti sulla vita sociale e individuale, sul ruolo giocato al suo interno dal capitalismo e dalla globalizzazione. In particolare, il contributo principale riguarda la sua critica all’idea post-moderna, sposata da autori quali Harvey e Bauman.
Nel suo libro “Consequence of Modernity” (1990) Giddens sostiene che i cambiamenti avvenuti nelle istituzioni e nella vita di ogni giorno durante gli ultimi decenni non implicano il passaggio ad una nuova e radicale fase sociale, in quanto superamento della precedente (la post-modernità), piuttosto in una radicalizzazione delle caratteristiche principale della modernità, una sua acutizzazione (Giddens parla di tarda modernità) dove le forze sociali che caratterizzavano la precedente fase si sono rafforzate ed estese (maturate).
Una di queste, forse la più importante, è il “disembedding” dal tempo e dallo spazio. Secondo Giddens la modernità ha prodotto uno svincolamento della realtà sociale dal tempo e dallo spazio: lo spazio sociale, infatti, non è più definito dai confini spaziali e temporali entro i quali uno si muove. Ad aver prodotto questa possibilità sono i sistemi esperti (ossia l’insieme di tecnologie che permettono le nostre azioni) che via via si sono svincolate dal tempo, dallo spazio e dal controllo del singolo, al quale non resta che fidarsi di essi.
Proprio la necessità di fidarsi, derivante dalla mancanza di un reale controllo, genera insicurezza, contro la quale Giddens propone la riscoperta di una fiducia ontologica e di una modernità riflessiva (quest’ultimo concetto si sviluppa dalle sue considerazioni ermeneutiche della strutturazione: l’atto stesso di conoscenza è una pratica che circolando nella realtà sociale agisce su di essa e la trasforma, divenendo struttura e nuova possibilità di formulazione. Le scienze sociali riflettendo sulla modernità, interagiscono con esse e contribuiscono a formarla).
Nel 2004 viene insignito dalla regina Elisabetta II del titolo di baronetto a sostegno di una carriera sempre impegnata (anche con diverse collaborazioni con istituti e riviste) verso una sociologia “dentro” al mondo e capace di formulare proposte concrete nelle sue peregrinazioni teoriche. Il pensiero di Giddens si presenta dunque non solo come uno dei più vasti, ma anche come capace e abile nell’affrontare i nodi centrali della disciplina e, soprattutto, dell’attualità.
OPERE DI ANTHONY GIDDENS
Tra le sue opere più importanti:
– Capitalism and Modern Social Theory. An Analysis of the writings of Marx, Durkheim and Max Weber (1971);
– New Rules of Sociological Method: a Positive Critique of interpretative Sociologies (1976);
– Central problems in Social Theory: Action, Structure and Contradiction in Social Analysis (1979);
– Sociology: a Brief but Critical Introduction (1982);
– The Constitution of Society. Outline of the Theory of Structuration (1984);
– Durkheim (1986);
– The Consequences of Modernity (1990) – “Le conseguenze della modernità. Fiducia e rischio, sicurezza e pericolo”;
– Modernity and Self-Identity. Self and Society in the Late Modern Age (1991) – “Identità e società moderna”;
– Reflexive Modernization. Politics, Tradition and Aesthetics in the Modern Social Order (1994, con Beck, Ulrich & Giddens, Anthony & Lash, Scott);
– Beyond Left and Right – the Future of Radical Politics (1994);
– Politics, Sociology and Social Theory: Encounters with Classical and Contemporary Social Thought (1995);
– In Defence of Sociology (1996);
– The Third Way. The Renewal of Social Democracy (1998) – “La terza via” ;
– Runaway World: How Globalization is Reshaping Our Lives (1999);
– The Third Way and Its Critics (2000);
– Sociology. (2001);
– Europe In The Global Age (2007).
Anthony Giddens – Pensiero
Giddens sociologo della globalizzazione
L’analisi della globalizzazione è oggetto di analisi di molti studiosi di scienze sociali, i quali si concentrano sulle sue caratteristiche e su come esse si riflettano in un ambito di studio specifico (comunicazione, politica, economia, cultura etc.). Molti, anche, sono stati e sono i sociologi che pongono al centro dei loro interessi la globalizzazione, intersecandone lo studio con l’analisi più ampia della società, definita da alcuni tardo-moderna (ad esempio Giddens), da altri post-moderna (Bauman, Harvey, Beck) e da altri ancora tardo industriale (Touraine), a seconda di quali accenti vengano maggiormente enfatizzati come tratti salienti e peculiari della società contemporanea.
Anthony Giddens – sociologo estremamente moderno – affronta lo studio della globalizzazione dalla premessa che le trasformazioni sociali in corso non siano un radicale cambiamento rispetto al modo di vivere dei decenni precedenti alle ultime decadi del XX secolo, quanto, piuttosto, una loro radicalizzazione: in altre parole, le tendenze che caratterizzano la realtà sociale non necessitano di una nuova definizione come superamento, ma come accentuazione delle vecchie. Non saremmo, quindi, nella post modernità, bensì in una fase di tarda modernità, dove le tendenze della modernità avrebbero assunto una loro maturità.
All’interno di questo quadro, Giddens usa la globalizzazione come uno strumento concettuale per definire quell’insieme di processi sociali, economici, politici e culturali che influenzano la vita di ognuno, sebbene sia difficile per chiunque, persino per lo studioso, comprendere pienamente tutti i loro sviluppi ed effetti. La rapida diffusione del termine, d’altro canto, è proprio l’espressione della generalità dei cambiamenti in corso e, in pari tempo, sintomo dell’estrema confusione sul fenomeno.
Sono molte, infatti, le interpretazioni a riguardo, seppure Giddens individua due grandi definizioni: da una parte la visione scettica di chi crede che il concetto di globalizzazione sia solo un bel contenitore privo, però, di contenuto; dall’altra, la visione radicale di chi ritiene, al contrario, la globalizzazione un fenomeno reale come tangibili sono i suoi effetti su chiunque abiti il mondo.
Secondo i primi, una vera economia globale non esiste e, quali che siano i suoi effetti, lo stato mondiale dell’economia non è molto differente dai precedenti: gli stati continuano a trarre solo una piccola parte dei propri profitti dalle esportazioni mondiali, mentre la parte rilevante degli accordi economici sarebbe su scala regionale.
In altre parole, la globalizzazione non sarebbe un termine utile a definire trasformazioni nella realtà sociali, ma un concetto ideologico messo in piedi dai neoliberisti per procedere allo smantellamento delle politiche sociali e definire una situazione mitica che ha poco da spartire con la reale condizione dei mercati.
Per i radicali, i secondi, il concetto di globalizzazione è invece utile in termini analitici in quanto delinea processi reali che si starebbero sviluppando sia in campo economico (lo sviluppo di un mercato sempre più globale) sia politico (la perdita da parte dello stato nazione di un’ampia parte della propria sovranità, specie nella definizione di politiche economiche).
Giddens crede come i radicali che l’economia stia diventando sempre più mondiale e dipendente dalle interconnessioni dei diversi mercati nazionali e regionali: gli scambi commerciali a livello mondiale sono maggiori rispetto al passato e includono sempre più prodotti, servizi e soprattutto capitale finanziario. Secondo il sociologo inglese, la caratteristica principale dell’economia attuale è proprio il trasferimento elettronico dei capitali che ha generato quel nuovo tipo di denaro definito da Giddens come “new global electronic money”.
I soldi elettronici – i trasferimenti di capitali, le speculazioni monetarie, gli scambi azionari – hanno infatti un ruolo sempre più cruciale all’interno dell’economia mondiale (si parla infatti di finaziarizzazione dell’economia) così come in quelle nazionali: passate le fiere e poi le borse, oggi i nuovi luoghi degli scambi economici sono virtuali, online. Ma la globalizzazione non è solamente un fenomeno economico ed è questa la critica del sociologo alle due visioni precedenti: troppo spesso, infatti, si parla di globalizzazione come fosse una questione meramente economica, trascurando le sue dimensioni tecnologiche, politiche, sociali e culturali.
Globalizzazione e sviluppo tecnologico
Secondo Anthony Giddens, infatti, la globalizzazione è prima di tutto lo sviluppo tecnologico dei sistemi di comunicazione che ha permesso con l’elettronica lo scambio istantaneo di informazioni e la diffusione globale di notizie. In questo modo, la comunicazione elettronica ha cambiato gli schemi (textures) della nostra esperienza quotidiana e ne ha ampliato i suoi orizzonti: Silverstone, ad esempio, parla a proposito di conseguenze morali dei media in quanto ci permettono di conoscere persone negli angoli più remoti del mondo, portando nella nostra realtà la loro quotidianità e aggiungendo nuovi “oggetti” nel nostro universo morale.
La comunicazione elettronica, inoltre, è stata un fattore propulsivo di cambiamenti epocali: il declino dell’impero sovietico, ad esempio, è stato definito da alcuni come “la prima rivoluzione televisiva” riferendosi alle immagini del crollo del muro di Berlino trasmesse dagli schermi di tutto il mondo e alla diffusione dei modelli occidentali all’interno dei paesi sovietici attraverso le comunicazioni radiofoniche e televisive. In altre parole, la globalizzazione, intesa come diffusione della comunicazione elettronica, ha cambiato il modo di rapportarci al mondo e agli altri, contribuendo a ridefinire gli strumenti delle nostre interpretazioni e le interpretazioni stesse.
Quando Anthony Giddens parla di mondo globale è interessato a sottolineare l’insieme di processi che lo definiscono e che operano spesso in direzioni contraddittorie fra loro, influenzandosi reciprocamente: ad esempio cita il caso delle tendenze della globalizzazione economica sulle comunità locali che tendono a sottrarre loro sempre più poteri per trasferirli alle arene virtuali dei mercati o delle multinazionali. Tali processi, infatti, portano ad un rafforzamento delle identità locali come risposta alla globalizzazione e all’ingerenza di fattori extra-locali.
La contraddizione, sottolineata anche da Pierre Lévy, è che i localismi allora sono un esito culturale e tecnologico della globalizzazione stessa: come ogni sistema, anche il mondo globale produce i suoi oppositori attraverso e all’interno del sistema stesso. Per questo motivo, l’incontro tra locale e globale non deve essere pensato, come accade nell’errore più comune, solo come una questione di repulsione o integrazione tra attori isolati e contrapposti, piuttosto come contaminazione, ibridazione (per usare termini cari a James Clifford): ciò significa che le culture locali incontrano il mondo e i suoi differenti modelli culturali, modellandosi entro nuove definizioni e parametri, mescolando gli elementi e riproducendosi in una continua sintesi.
Un altro aspetto che Giddens è interessato a sollevare della globalizzazione è la dimensione della sua portata: molti studiosi, critica il sociologo, considerano il fenomeno come una questione macro sociale, che interessa solamente i grandi sistemi (i mercati finanziari, gli stati, etc.), mentre in realtà le sue conseguenze si producono anche e soprattutto nella vita di ogni giorno. Le modalità attraverso le quali stringere nuove relazioni si ampliano e diventano sempre più ambigui; i tempi di vita si dilatano (le comunicazioni e i trasporti più veloci permettono di vivere un numero sempre maggiore di esperienze); i sistemi tradizionali della famiglia o del vicinato cambiano; le conoscenze aumentano e spesso diventano più condivise con un accesso alle informazioni sempre più oggetto di potere e conflitti. Ancora una volta appare chiaro come per Giddens la globalizzazione è un termine che descrive un fenomeno reale che fa delle interconnessioni e delle contaminazioni un aspetto cruciale della sua struttura.
Effetti negativi della globalizzazione secondo Giddens
Ma quanto detto fin qui non deve trarre in inganno: la globalizzazione, riconosce Giddens, non ha solo effetti positivi. Il mondo globale per il ragazzo che abita a Dagoretto (quartiere estremamente povero di Nairobi) è distante centinaia di chilometri dalle spiagge dorate di Malindi e molto vicino agli slum di Rio de Janeiro.
Per i loro abitanti la globalizzazione, dice il sociologo inglese, appare più come un’occidentalizzazione, o un’americanizzazione, ossia un processo nel quale le società o gli stati più deboli economicamente e tecnologicamente hanno una piccola parte. La globalizzazione, inoltre, vista attraverso lo sviluppo dell’economia mondiale, appare come un meccanismo di espansione del divario delle ineguaglianze fra gli stati e di distruzione delle differenze a livello locale.
Tuttavia, questi processi, insieme al cambiamento climatico prodotto dallo sfruttamento delle risorse combustibili, sono per Giddens solo una parte, seppure rilevante e urgente, della globalizzazione che, sostiene il sociologo, diviene via via più decentrata, ossia non controllata da alcun centro (sia esso un gruppo di nazioni o un insieme di multinazionali).
Anzi, Giddens crede che l’occidentalizzazione sia una faccia del fenomeno, alla quale corrisponde l’influenza crescente che i paesi non occidentali stanno sempre più imponendo ai paesi sviluppati. A tal proposito egli parla in modo provocatorio di colonizzazione al contrario (“reverse colonization”) per descrivere tutti quei casi in cui paesi in via di sviluppo hanno imposto determinate condizioni ai paesi più ricchi (e si potrebbero citare le difficoltà attuali e sempre maggiori riscontrate dai paesi del nord del mondo nelle trattative commerciali del WTO, dove il Brasile ha visto recentemente riconosciuto dall’istituzione multilaterale del commercio la legittimità delle sue richieste nei confronti degli Usa).
Secondo Anthony Giddens i sostenitori di una visione della globalizzazione solamente come promozione di disuguaglianze guardano esclusivamente alla sua dimensione economica e, in particolare, al libero commercio senza regole, il quale si traduce per un’economia debole in una maggiore dipendenza dagli istituti multilaterali (fondi e sussidi) e dai mercati mondiali (borse, istituti di credito, mercati monetari etc.).
Per il sociologo inglese il problema, però, non sarebbe la presenza del libero mercato, bensì l’assenza di un contesto istituzionale che gli dia una forma adatta a perseguire un’equa redistribuzione della ricchezza mondiale.
In altre parole Giddens sconsiglia di identificare la globalizzazione con il neoliberismo: quest’ultimo sarebbe soltanto una sua declinazione che potrebbe essere corretta con un insieme di regole istituzionali che definiscano quanto un’economia nazionale debba essere esposta ai mercati mondiali. Questo ultimo punto, la necessità di istituzioni che regolino i mercati, richiama nell’approccio di Giddens la questione della forza del potere politico nel mondo globalizzato. Secondo il sociologo inglese, gli stati nazione e gli organismi sovranazionali hanno ancora un ruolo da giocare e un potere da esercitare, ma perché essi diventino efficaci necessitano una riformulazione delle strutture e delle modalità di funzionamento.
In altre parole, Giddens sostiene la necessità che le istituzioni tradizionali non vengano smantellate, bensì ripensate e adattate ai nuovi compiti che sono chiamati a compiere nella realtà sociale attuale, affinché sia possibile controllare democraticamente proprio quel complesso di cambiamenti e tendenze che è la globalizzazione, oggi percepita spesso come selvaggia e senza etica. Una mancanza che genera nell’essere umano un senso di ansietà, di incertezza perché chiamato a risolvere da solo, privatamente, problemi di ordine strutturale: ossia un senso di impotenza e inquietudine che riflette proprio l’incapacità delle istituzioni di imporre una volontà alle forze e ai cambiamenti in corso.
MATERIALE SU ANTHONY GIDDENS TRATTO DA:
-Wikipedia.it
-BiografieOnLine.it
-Sociologia.tesionline.it
Leggi l’articolo di un altro sociologo della globalizzazione
https://www.sociologifamosi.it/george-ritzer/
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