
(Alessandria, 5 gennaio 1932 – Milano, 19 febbraio 2016). Critico, Semiologo, Scrittore, Massmediologo e Bibliofilo italiano.
Umberto Eco nasce ad Alessandria il 5 gennaio 1932. Nel 1954 si è laureato, all’età di 22 anni, all’Università di Torino, con una tesi sul pensiero estetico di Tommaso d’Aquino. Nel 1956 ha pubblicato Il problema estetico in San Tommaso, (volume edito in una seconda edizione riveduta e accresciuta nel 1970).
Le prime cattedre universitarie
Dopo aver lavorato dal 1954 al 1959 come editore dei programmi culturali della Rai, negli anni Sessanta ha insegnato prima, presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Milano, poi, presso la Facoltà di Architettura dell’Università di Firenze ed infine presso la Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano. Inoltre, ha fatto parte del Gruppo 63, rivelandosi un teorico acuto e brillante. Dal 1959 al 1975 ha lavorato, presso la casa editrice Bompiani, come senior editor.
Nel 1975 viene nominato professore di Semiotica all’Università di Bologna, dove impianta una vivace e agguerrita scuola. Negli anni 1976-’77 e 1980-’83 ha diretto l’Istituto di Discipline della Comunicazione e dello Spettacolo, presso l’Università di Bologna. È stato insignito di molti titoli onorifici da parte delle università di tutto il mondo, presso le quali ha tenuto diversi corsi. Dal 1989 è presidente dell’International Center for Semiotic and Cognitive Studies, e dal 1994 è presidente onorario dell’International Association for Semiotic Studies, di cui negli anni precedenti è stato segretario generale e vicepresidente.
Dal 1999 è inoltre presidente della Scuola Superiore di Studi Umanistici, presso l’Università di Bologna. Ha collaborato con l’Unesco, con la Triennale di Milano, con l’Expo 1967 – Montreal, e con la Fondation Européenne de la Culture, e con molte altre organizzazioni, accademie, e testate editoriali nazionali e internazionali. Numerose inoltre sono le sue collaborazioni, non solo a quotidiani («II Giorno», «La Stampa», «Il Corriere della Sera», «La Repubblica», «Il Manifesto») e a settimanali («l’Espresso»), ma anche a periodici artistici e intellettuali («Quindici», «Il Verri», ed altri). Ha svolto indagini in molteplici direzioni: sulla storia dell’estetica, sulle poetiche d’avanguardia, sulle comunicazioni di massa, sulla cultura di consumo, ecc. Spaziando dall’estetica medievale alla semiotica ai vari codici di comunicazione artistica, la sua produzione saggistica appare, dunque, estremamente varia e vasta.
Tra le sue opere di saggistica:
– Thema: omaggio a Joyce (1958), un’opera che si propone di analizzare la funzione poetica del linguaggio onomatopeico e che è stata registrata su nastro in collaborazione con Luciano Berio;
– Momenti e problemi nella storia dell’estetica (1959);
– Diario Minimo (1963);
– Opera aperta (1962);
– Trattato di semiotica generale (1975), uscito contemporaneamente in lingua inglese con il titolo A theory of semiotics;
– Lector in fabula (1979);
– I limiti dell’interpretazione (1990);
– Sei passeggiate nei boschi narrativi (1994)
– Kant e l’ornitorinco (1997).
Il successo come scrittore
Nel 1980 si è cimentato nella narrativa raccogliendo notevoli consensi con Il nome della Rosa (Premio Strega 1981, dal libro è stato tratto il film omonimo diretto da Jean-Jacques Annaud), bissato dal successo de Il pendolo di Foucault (Premio Bancarella 1989). Altro suo romanzo, L’isola del giorno prima, è stato pubblicato nel ’94. Negli ultimi anni del secolo sono stati pubblicati Cinque scritti morali e Kant e L’ornitorinco (1997), Tra menzogna e ironia (1998), e La bustina di Minerva (1999). Tra i romanzi più recenti troviamo Baudolino (2000) e La misteriosa fiamma della regina Loana (2004) Il 14 ottobre 2003, Umberto Eco è stato insignito dal presidente della Repubblica francese, Jacques Chirac, del titolo di ufficiale della Legion d’Honneur; dal 2008 è professore emerito e presidente della Scuola Superiore di Studi Umanistici dell’Università di Bologna. Dal 12 novembre 2010, Accademico dei Lincei.
TRA LE OPERE di UMBERTO ECO
* 1956 Il problema estetico in San Tommaso
* 1959 Sviluppo dell’estetica medievale, in Momenti e problemi di storia dell’estetica
* 1961 Storia figurata delle invenzioni, a cura di U. Eco e G.B. Zorzoli.
* 1962 Opera aperta. Forma e indeterminazione nelle poetiche contemporanee, Bompiani, [ rif. ]
* 1963 Diario minimo
* 1964 Apocalittici e integrati
* 1965 Il caso Bond, a cura di O. Del Buono e U. Eco.
* 1965 Le poetiche di Joyce
* 1966 I tre cosmonauti, illustrato da Eugenio Carmi.
* 1966 La bomba e il generale, illustrato da Eugenio Carmi.
* 1967 Appunti per una semiologia delle comunicazioni visive
* 1968 La definizione dell’arte
* 1968 La struttura assente
* 1969 Dove e quando? Indagine sperimentale su due diverse edizioni di un servizio di ‘Almanacco’, a cura di U. Eco e al.
* 1969 I sistemi di segni e lo strutturalismo sovietico, a cura di U. Eco e R. Faccani.
* 1969 L’arte come mestiere, a cura di U. Eco
* 1969 L’Industria della cultura, a cura di U. Eco.
* 1970 Socialismo y consolacion, edited by U. Eco.
* 1971 Guida all’interpretazione del linguaggio giornalistico, Bompiani, [ rif. ] o in: M. Rivolsi, V. Capecchi, La stampa quotidiana in Italia
* 1971 I fumetti di Mao, a cura di G. Nebiolo, U. Eco e J. Chesneaux.
* 1971 Il segno
* 1971 Le forme del contenuto
* 1972 Cent’anni dopo. Il ritorno dell’intreccio, a cura di U. Eco e C. Sughi.
* 1972 Estetica e teoria dell’informazione, a cura di U. Eco.
* 1972 I pampini bugiardi, a cura di U. Eco e M. Bonazzi.
* 1973 Beato di Liébana
* 1973 Eugenio Carmi: una pittura di paesaggio?, a cura di U. Eco.
* 1973 Il costume di casa
* 1973 Segno
* 1975 Trattato di semiotica generale
* 1976 A Theory of Semiotics
* 1976 Il superuomo di massa
* 1976 Stelle & stellette
* 1976 Storia di una rivoluzione mai esistita: l’esperimento Vaduz, a cura di U. Eco et al.
* 1976 A Theory of Semiotics o Trattato di semiotica generale, 1975
* 1977 Come si fa una tesi di laurea
* 1977 Dalla periferia dell’impero
* 1979 A Semiotic Landscape, edited by S. Chatman, U. Eco and J.M. Klinkenberg.
* 1979 Invernizio, Serao, Liala, a cura di U. Eco, I. Pezzini, M.P. Pozzato, M. Federzoni.
* 1979 Lector in fabula. La cooperazione interpretativa nei testi narrativi, Bompiani, [ rif. ]
* 1979 The Role of the Reader, essays from Opera aperta, Apocalittici e integrati, Forme del contenuto, Lector in fabula, Il Superuomo
* 1980 E semeiologia sten kathemerine zoe
* 1980 Function and sign: the semiotics of architecture, in Broadbent et al., Signs, symbols and architecture
* 1980 Il nome della rosa
* 1983 Esercizi di stili [traduzione di: R. Queneau, Exercises de style]
* 1983 The Sign of Three: Peirce, Holmes, Dupin, edited by U. Eco and T.A. Sebeok. o Il segno dei tre, 1983
* 1983 Postille al nome della rosa
* 1983 Sette anni di desiderio
* 1984 Conceito de texto
* 1984 Semiotica e filosofia del linguaggio
* 1985 Sugli specchi e altri saggi
* 1987 Arte e bellezza nell’estetica medievale
* 1987 Notes sur la sémiotique de la reception
* 1987 Streit der Interpretationen
* 1988 Il pendolo di Foucault
* 1988 Meaning and Mental Representations, edited by U. Eco, M. Santambrogio and P. Violi.
* 1989 Im Labyrinth der Vernunft. Texte über Kunst und Zeichen
* 1989 Lo strano caso della Hanau 1609
* 1989 On the Medieval Theory of Signs, Edited by U. Eco and Costantino Marmo.
* 1990 Auf dem Wege zu einem Neuen Mittelater
* 1990 I limiti dell’interpretazione
* 1991 Vocali
* 1992 Gli gnomi di Gnu, con Eugenio Carmi.
* 1992 Il secondo diario minimo
* 1992 Interpretation and overinterpretation o Interpretazione e sovrainterpretazione, 1995
* 1993 La ricerca della lingua perfetta nella cultura europea
* 1993 Six Walks in the Fictional Woods o Sei passeggiate nei boschi narrativi, 1994
* 1994 Apocalypse Postponed
* 1994 L’isola del giorno prima
* 1994 Sei passeggiate nei boschi narrativi
* 1995 Come si fa una tesi di laurea, le materie umanistiche, Bompiani
* 1995 Povero Pinocchio, Comix, Verona, [ rif. ]
* 1996 In cosa crede chi non crede?, con Carlo Maria Martini.
* 1997 Cinque scritti morali
* 1997 Kant e l’ornitoringo
* 1997 Neue Streichholzbriefe
* 1998 Gesammelte Streichholbriefe
* 1998 Talking of Joyce (with Liberato Santoro), University College Dublin Press
* 1998 Tra menzogna e ironia
* 2000 Baudolino
* 2000 La Bustina di Minerva
* 2002 Sulla letteratura
* 2002 Bellezza. Storia di un’idea dell’Occidente (a cura di, CD-ROM), Milano: Motta On Line
* 2003 Dire quasi la stessa cosa. Esperienze di traduzione, Milano: Bompiani
* 2003 (EN) Mouse or Rat?: Translation as Negociation, London: Weidenfeld & Nicholson, (Experiences in translation e saggi selezionati da Dire quasi la stessa cosa)
* 2004 (a cura di) Storia della bellezza, Milano: Bompiani
* 2004 (edizione non commerciale) Il linguaggio della terra australe, Milano: Bompiani
* 2004 La misteriosa fiamma della regina Loana * 2005 Il Codice Temesvar, Milano: Ed. Rovello
* 2005 Nel segno della parola (con Daniele Del Giudice e Gianfranco Ravasi), a cura di Ivano Dionigi, Milano: Rizzoli
* 2006 A passo di gambero. Guerre calde e populismo mediatico, Milano: Bompiani,
* 2006 La memoria vegetale e altri scritti di bibliofilia, Milano: Bompiani
* 2006 Sator Arepo eccetera, Roma: Nottetempo
* 2007 (a cura di) Storia della bruttezza, Milano: Bompiani
* 2007 (volume di autori vari a cura di Massimo Polidoro) 11/9 La cospirazione impossibile, Milano: Piemme
* 2007 Dall’albero al labirinto, Milano: Bompiani
* 2009 (antologia letteraria di racconti a tema) Nebbia (a cura di, con Remo Ceserani), Torino: Einaudi
* 2009 Non sperate di liberarvi dei libri (con Jean-Claude Carrière), Milano: Bompiani
* 2009 Vertigine della lista, Milano: Bompiani
* 2010 Il Medioevo. Barbari, Cristiani, Musulmani (a cura di), Milano: Encyclomedia Publishers
* 2010 Il cimitero di Praga
Il panorama della cultura – Il Gruppo 63
Mentre lo storicismo tradizionale della cultura italiana si modernizza grazie al sociologismo e al marxismo (il vecchio Natalino Sapegno, Cesare Luporini, Carlo Muscetta, Giuseppe Petronio, Asor Rosa, fino a Giulio Ferroni ecc.), negli anni ’60 e ’70 si affermano altre metodologie. Soprattutto quella strutturalista e semiologica: con Umberto Eco, Cesare Segre, Maria Corti, Ezio Raimondi ecc.. Ruolo di stimolo ha il gruppo di critici riunito attorno al Gruppo 63: Luciano Anceschi e Umberto Eco, Angelo e Guido Guglielmi, Renato Barilli, Enrico Filippini. L’entusiasmo sperimentato dai componenti del costituendo Gruppo 63 rifletteva la genuina ricerca che stava prendendo corpo in tutto il mondo, di un nuovo stile di vita e di pensiero, in opposizione alle resistenze di coloro che si sentivano impegnati nella conservazione dei valori e nelle abitudini di un’Italia contadina e paesana e nella difesa degli interessi di gruppi radicati nel tessuto socio-economico.
Le istanze del movimento si contrapponevano a una “conservazione culturale” che ruotava intorno alla classe intellettuale uscita dalla guerra i Calvino, Bassani, Cassola, Fortini, Morante, Moravia, Pasolini, Vittorini che occupavano posti di controllo nell’industria culturale, nelle case editrici e nelle università. Le loro posizioni, che sviluppavano sulle riviste «Officina» e «La Voce», risentivano dell’influsso dei principî estetici del comunismo sovietico, (nella schematizzazione di Francesco Leonetti «Lenin sosteneva Tolstoj, mentre Engels sosteneva Balzac») e dell’estetica croce-gramsciana.
Erano considerati intoccabili, sia in campo letterario, perché costituivano la main stream della letteratura italiana del secondo Novecento, ma anche per quello che rappresentavano come intellettuali, la parte di valore di un’Italia che era sopravvissuta alle angherie del Ventennio, da cui era riemersa con una patina di istituzionalità. A distanza di cinquant’anni i libri di questi scrittori si trovano ancora sugli scaffali delle librerie e sono oggetto di insegnamento nelle scuole, a conferma della loro indiscutibile statura letteraria e morale.
Le tesi del Gruppo 63
Il Gruppo 63 non metteva in discussione la “qualità” dei testi o la statura dei personaggi, ma la conformità delle tematiche del Neorealismo, del Crepuscolarismo, dell’Intimismo alla mutata situazione della società, all’avvento dei mezzi di comunicazione di massa, a un nuovo paradigma tecnico-scientifico, in Italia e in rapporto al resto del mondo.
All’establishment letterario si imputava di non essersi accorto della nascita dei nuovi linguaggi del giornalismo, della pubblicità e della televisione, del conseguente sviluppo della lingua italiana, della crescita abnorme che stava interessando la piccola borghesia. In contrapposizione ai personaggi “popolari” che animavano i romanzi dei Cassola e dei Pratolini, i neoavanguardisti «si mettono in gioco in prima persona» (Angelo Guglielmi), con dei personaggi borghesi: come in Fratelli d’Italia (Alberto Arbasino, 1963, il romanzo più significativo dell’esperienza del gruppo), dove i personaggi si aggirano senza una trama, spostandosi per l’Europa da un festival di letteratura alla prima di un’opera lirica, a un set cinematografico, tenuti insieme da una fitta conversazione. I loro discorsi vertono a trasmettere le teorie critiche dell’autore.
Si realizza così un’identità tra testo e teoria. Altrove, attraverso la poesia visiva di Lamberto Pignotti, per esempio, si assiste a un capovolgimento, dall’idea della forma, alla forma dell’idea. In Aviation-Aviateur, o Seduction-Seducteur, le performance di Adriano Spatola, si realizza una perfetta identificazione: poesia e poeta si compenetrano perfettamente, diventano tutt’uno.
Un testo ispiratore di più di un componente del Gruppo 63 fu La fine dei modelli, di Alberto Savinio; il titolo dell’antologia curata da Nanni Balestrini e Alfredo Giuliani, I novissimi (1961), che ha anticipato la Neoavanguardia, rispecchia perfettamente il senso contenuto in questo saggio di Savinio: “novissimi” sia in senso di ultimi arrivati, sia in senso di «Après moi le déluge» (Edoardo Sanguineti). Il filosofo che raccoglieva maggiori consensi era Enzo Paci, fondatore di «Aut Aut», considerato il maggior filosofo del rinnovamento.
Per contro, gli intellettuali che costituivano la cosiddetta egemonia culturale accusavano i neoavanguardisti di essere la voce del neocapitalismo, di perseguire in realtà una scalata al “potere”; inoltre dicevano: «Propongono delle teorie? Bene, ma dove sono i testi?» (Sanguineti). In più interpretavano la consuetudine di confrontare e discutere il proprio lavoro in corso d’opera con gli altri componenti del Gruppo come una forma di promiscuità, una mancanza di pudore.
Cultura dominante, in Italia, espressione della linea degli intellettuali chiamati a collaborarvi, era però anche la giovane Televisione di Stato, con il «Festival di San Remo» (vinto da Tony Renis e Emilio Pericoli, con Uno per tutte; l’anno prima avevano vinto Domenico Modugno e Claudio Villa, Addio, addio), prototipo del nazional popolare; era la trasmissione televisiva «Canzonissima», regia, nel 1962-63, di Vito Molinari, condotta da Dario Fo e Franca Rame, sostituiti per incompatibilità con la dirigenza RAI, dopo sole sette puntate, da Tino Buazzelli e Sandra Mondaini. Questa era l'”egemonia culturale” nella quale ai neoavanguardisti premeva di entrare.
E cultura dominante era l’istituto tutto italiano della censura, stigmatizzato dall’approvazione della legge del 21 aprile 1962 n.161, che imperversava soprattutto nel mondo dello spettacolo, protagonista, grazie al cinema italiano, di un momento di grande successo sulla scena internazionale.
Il 1963 segnò l’uscita delle produzioni cinematografiche de Il Gattopardo di Luchino Visconti (Palma d’Oro a Cannes), tratto da Tomasi di Lampedusa, e di 8 e 1/2 di Federico Fellini (con i dialoghi di Ennio Flaiano). Venezia cinema premiava Francesco Rosi per Le mani sulla città. Valerio Zurlini firmava La bella di Lodi, sulla sceneggiatura di Alberto Arbasino, coregista. Marco Ferreri dirigeva L’ape Regina, tratto dalla sceneggiatura tratrale di Goffredo Parise La moglie a cavallo. Tratto dal romanzo omonimo di Lucio Mastronardi, usciva anche, tra le polemiche e i boicottaggi, Il maestro di Vigevano, di Pietro Germi, reso famoso grazie soprattutto all’interpretazione che ne ha dato Alberto Sordi. Ambientato nella provincia settentrionale travolta dalle trasformazioni sociali dello sviluppo economico, contrappone due mondi completamente diversi ma entrambi in crisi profonda: quello della scuola, abitato da maestri frustrati e mediocri, e quello della fabbrica, duro, cinico, orientato esclusivamente al denaro. L’Italia del boom era anche questo.
Chi era nel Gruppo dei 63
Del Gruppo 63 fecero parte i poeti Nanni Balestrini, Corrado Costa, Alfredo Giuliani, Francesco Leonetti, Giulia Niccolai, Elio Pagliarani, Lamberto Pignotti, Walter Pedullà, Antonio Porta, Amelia Rosselli, Edoardo Sanguineti, Giuliano Scabia, Adriano Spatola, Patrizia Vicinelli; i critici Luciano Anceschi, Renato Barilli, Fausto Curi, Gillo Dorfles, Umberto Eco, Angelo Guglielmi; gli scrittori Alberto Arbasino, Gianni Celati, Giorgio Celli, Furio Colombo, Enrico Filippini, Franco Lucentini, Luigi Malerba, Giorgio Manganelli, Nico Orengo, Giuseppe Pontiggia, Sebastiano Vassalli; l’editore Inge Feltrinelli; l’architetto Vittorio Gregotti; il regista Luigi Gozzi; gli autori della Scuola di Palermo: Roberto Di Marco, Michele Perriera, Gaetano Testa.
Umberto Eco, Opera aperta
Nessun manuale, nessuna cronaca o memoria ci restituirà l’atmosfera della cultura italiana nel ventennio fra la fine della II Guerra Mondiale e il Boom economico. I documenti scritti possono riflettere solo pallidamente gli esperimenti e le polemiche, nati dal senso più o meno ingenuo e meravigliato di libertà e abbondanza, dalla scoperta dei nuovi portati d’oltralpe ed d’oltreoceano, dal desiderio di svecchiare ad ogni costo, di adeguarsi al passo dei tempi. Vero è, come diagnostica Pontiggia in una pagina dell’Isola volante, che la salute si discerne in opposizione alla malattia, e che malattia mortale del linguaggio è la sua mercificazione, contro cui insorgono le avanguardie. Ma la malattia del linguaggio, conclude Pontiggia, «rafforza paradossalmente la funzione di quello letterario, l’unico in grado di restituire alle parole la loro energia».
Con la pubblicazione in volume di Opera Aperta, nel 1962, (costituito in buona parte da saggi apparsi in precedenza in rivista), Eco si è assunto l’ingrato compito di testa d’ariete, nell’intento di restituire dignità ai linguaggi delle arti, non solo a quello letterario, mentre intorno a lui scalpitavano le neo-avanguardie.
Fedele al suo titolo, Opera Aperta ha attraversato vicende editoriali complesse: più volte riedito e modificato, nell’edizione corrente riproduce quella del 1976. Questa, rispetto alle due prime edizioni (1962 e 1967) , ha perso il corposo saggio Le poetiche di Joyce, ripubblicato autonomamente. In compenso ha accolto, come appendice, il testo Generazione di messaggi estetici in una lingua edenica, di capitale importanza per i successivi sviluppi del pensiero semiotico dell’Autore.
Ma Opera Aperta è e resta un libro di rottura. Nella temperie che l’ha generato, tutto poteva concorrere utilmente a spezzare l’accerchiamento, a uscire dal cono d’ombra del crocianesimo senza cadere nella critica impressionistica e nell’elzeviro. Lo testimoniano le due introduzioni: la prima battagliera, in esergo all’edizione ’62; la seconda, più meditata e distesa, che apriva l’edizione ’67, entrambe lasciate a testimonianza dialogante con il testo, e precedute da una succosa antologia, di mano dello stesso Eco, che raccoglie le reazioni suscitate all’epoca fra gli addetti ai lavori. Val la pena di rileggerlo anche per queste pagine introduttive, per capire quanto era fecondo il milieu d’allora, e quanto povero e asfittico sia quello attuale. Sfido chiunque, oggi, a trovare spunti e materia per un libro analogo.
Confortato dalla robusta Estetica del suo maestro Pareyson, apparsa in volume nel 1954, (e ancora fecondissima), Eco mette in campo un esercito composito ma agguerrito d’idee e d’ispirazioni. Opera Aperta, infatti, presenta un florilegio di possibilità all’indagine quale mai s’era vista negli studi d’estetica, e non solo in Italia. Da un saggio all’altro s’incrociano in maniera inedita ed efficacissima suggestioni attinte da Tommaso d’Aquino (e autorevolmente corroborate da Joyce), con gli ultimi portati della teoria dell’informazione applicata al discorso poetico, e se viene ignorata la linguistica saussuriana, ancora non sdoganata, si leggono in filigrana le anticipazioni semiotiche d’un altro battistrada, altrettanto ecumenico anche se meno popolare, come Ferruccio Rossi-Landi.
Non dimenticando il suo Aristotele, Eco mette bocca, con vis definitoria, nelle discussioni sul valore dell’arte informale e della musica elettronica, ormai diffuse non solo nelle cerchie degli specialisti, ma anche fra un pubblico mediamente colto. Senza dimenticare un abbozzo di critica delle ideologie, nella discussione di certe parole d’ordine allora di moda, prima fra tutte quell'”alienazione” di matrice hegelo-marxiana che, pur consunta dall’uso, si è trascinata nella nostra cultura almeno fino alle soglie degli anni ’80.
La nostra attenzione di lettori-letterati cadrà principalmente sulle poche paginette intitolate Discorso poetico e informazione, vero perno delle discussioni diffuse in tutto il libro: Qui Eco, trascinando le dottrine di Pareyson alle estreme conseguenze, afferma chiaramente che il segno distintivo del moderno è la possibilità (la liceità) di creare, con ogni nuova opera d’arte, un nuovo sistema linguistico. Con quali caratteristiche e limiti, e in che rapporto con la tradizione precedente, Eco non si distende a spiegare. Forse a causa dell’ansia di enucleare e additare procedimenti innovativi, sacrificando quindi un discorso più ampio e sistematico, che verrà comunque sviluppato nelle opere seriori.
E anche perché, riteniamo, le argomentazioni si rincorrono tematicamente, in questo libro miscellaneo, intenzionalmente aggressivo per ammissione dello stesso Eco. Libro però sorprendentemente unitario, perché, nell’attraversare le poetiche contemporanee, raccogliendo una ricca messe di dati e assaggi, alla ricerca dei rapporti dialettici tra forma e indeterminazione, il cerchio tende a chiudersi. Legittimamente o surrettiziamente?: Se è vero che l’opera è un fare e un farsi, come insegna Pareyson, da un campionario di poetiche a trecentosessanta gradi, estraendo sul campo riscontri valutativi (che poi sono sempre anche un poco prescrittivi), sarà lecito ricavare la silhouette finissimamente intagliata d’un’estetica coerente? In barba ad ogni interdetto, incominciando da quello, severissimo, dello stesso Pareyson, contro le indebite commistioni fra studi di poetica e d’estetica.
O l’ambizione di Eco si spinge ancora più in là, o il libro è talmente “aperto” che gli prende la mano: sull’onda d’un’estetica non prevista cresce qualcosa d’altro. Mi concedo un’ipotesi: l’accoppiata “forma e indeterminazione” del sottotitolo rievoca in maniera insinuante il brevissimo e totalizzante saggio di Carlo Diano “Forma ed evento”, apparso anni prima, dedicato al rapporto fra caso e razionalità come fu inteso dai Greci e da essi tramandato alla cultura occidentale. Se così fosse, se questa doppia polarità vigesse anche nel campo delle arti, e motivatamente, visto che sembra vigere in ogni umana attività, avremmo un ulteriore volano di trasmissione verso altri territori filosofici, da quello etico a quello metafisico. A riprova dell’antichità, diremmo della classicità, delle questioni agitate.
Nella ben organizzata casualità dei saggi di Opera Aperta sono ravvisabili molti filoni, non isolati ma intenzionalmente tematizzati e saldati. Paradossalmente, nel saggio Il caso e l’intreccio, dedicato al montaggio d’una ripresa in diretta TV, operazione improvvisata, ma obbediente a certi canoni e a certe costrizioni, appare meglio applicata la dottrina pareysoniana dell’arte come “fare”. L’argomento della ripresa televisiva è quello che forse meglio fornisce il destro per indagare l’aspetto fabbrile, il gesto, la performance del regista che “dipinge” tramite i suoi cameramen, e mentre da un canto ci fa immaginare per analogia il gesto artistico di un Pollock, dall’altro ci svela con largo anticipo le menzogne di tanta TV-verità che invade le nostre case, forse già insite nel medium. E anche il bisogno d’illusione, e autoillusione, dell’essere umano. Nulla di più lontano dalla chiamata ad interagire rivolta al fruitore da certe opere d’arte, come Eco preconizzava.
Concediamoci qui un abbozzo di discussione filosofica, perché l’argomento è ancora aperto, e minaccia di rimanere tale in eterno. Eco sembra riconoscere che l’evento ha una forma, per parafrasare il linguaggio di Diano, La forma dell’evento, se mi passate quest’oxymoron, è evento essa stessa in quanto manifestazione, intersezione significativa, incarnazione puntiforme, anche se aleatoria, nel momento dell’esecuzione-fruizione unica e individua. Con questo si erge come momento esemplare di scelta nell’universo della casualità, sul quale fissare un’attenzione, diciamo così, riassuntiva ed esauriente. Così l’opera d’arte si costituisce come unicum nella sua più radicale dichiarazione d’eteronomia. Sempre parafrasando Diano, l’opera d’arte è sempre quella certa opera d’arte, prodotta da qualcuno per qualcuno, categoria fenomenologica di se stessa.
Non più epifania, apparizione, ma macchina da guidare, l’opera d’arte è un farsi aleatorio e sempre rinnovato. Resta in sospeso l’interrogativo, che formuliamo col senno del poi, su chi rilasci la patente che abilita a questo tipo di guida. Eccesso d’ottimismo, quello di Eco, e dei tempi in cui fu scritto Opera Aperta, quando sembrava pacifica la necessità che l’arte dovesse sposarsi con una visione moderna del mondo a base di fisica quantistica e teoria dell’informazione. Essere assolutamente moderni, come predicava Rimbaud e teorizzava Nietzsche. Con una strizzata d’occhio, da un alto alla futura democrazia della fruizione, dall’altra all’artista che, incalzato dal suo pubblico, s’inoltra sempre più in vastità inesplorate.
Però, nelle nuove forme d’arte e nella loro teorizzazione, vige «non tanto l’informazione rigorosa di equivalenti dei nuovi concetti, quanto la negazione di quelli antichi» si legge a chiare lettere alla pagina. 163, e con questo si comprende l’alternarsi di cedimenti e le resistenze dell’aristotelico-tomista che Eco è sempre stato. Riaffiora l’eterno problema delle avanguardie, la predominanza, in esse, della pars destruens, dell’aspetto iconoclastico. Come in tutte le rivoluzioni, una volta compiute, sappiamo bene che i rivoluzionari sono d’ingombro, e a cose fatte valgono meglio i sobri e solerti funzionari dell’ancien régime.
Altro problema che Eco mette in luce, e di questo gli siamo grati: è banale dirlo, non esiste creazione artistica senza richiesta di consenso. Quanto vale il candido postulato di Pareyson, secondo il quale l’opera d’arte è comunque riconoscibile? L’estetica del fare incontra quella della fruizione su un terreno comune, le cede perfino un certo qual primato, se dal riconoscimento dipende lo status stesso d’opera d’arte. Anzi, il consenso richiesto dev’essere al quadrato, preventivo alla stessa fruizione, e al conseguente giudizio estimativo, se si porta alle estreme conseguenze il presupposto. Fors’è questo il vicolo cieco nel quale si sono insaccate le avanguardie, storiche e neo-.
Al di qua si profilano le ombre del decostruzionismo, il postmoderno, fino all’attuale compresenza eclettica, da Basso Impero, di tutto e del contrario di tutto, entropia non si sa quanto generativa e feconda, non si sa quanto esteticamente e poeticamente quietistica, nel calderone dell’indifferenziato. Sterile domandarsi se Opera Aperta sia stata il corifeo delle neoavanguardie e di tutte le licenze successive, o il loro prematuro esecutore testamentario. A furia di legittimare (o mostrare di farlo) con l’ipoteca preventiva della bontà d’ogni trasgressione, si è legittimato anche il rappel à l’ordre, la riassunzione della forma chiusa, il rinverdire il plot, l’oralità tribale, la figuratività, la tonalità. Pur con il tutto messo fra parentesi e con segno alterato.
Queste possibilità di degenerazione e d’involuzione del discorso artistico dovevano comunque essersi affacciate alla mente di Eco, se la sua preoccupazione ultima, che appare carsicamente, è proprio quella di definire i limiti, se non la fisionomia, dell’opera d’arte, oltre il dettato di Pareyson.
Sia che si appunti ad analizzare l’arte informale o a seguire gli sviluppi della musica elettronica – l’informazione e la saturazione, l’indistinto – l’attenzione di Eco va a toccare quel nervo scoperto, puntando su un rigore definitorio affatto nuovo. Non si tratta di una definizione dottrinale e univoca, ma composita come il libro, che fa leva sull’asse preferenziale del conoscere/riprodurre/comunicare – dando quindi preminenza alla fruizione, ma con una serie di aspetti “creativi” che sembrerebbero apparentarsi a quelli percorsi dall’autore dell’opera d’arte durante le fasi della sua creazione.
Ascriveremo quindi ad Opera Aperta, in primis, il merito di aver ricondotto una serie di problemi scaturiti dall’esame di arti diverse a un comune interrogativo estetico, che radiografando le modalità della formazione, rappresentazione, comunicazione e fruizione artistica, mette il luce la continuità interattiva fra questi quattro stadî con un’urgenza quasi profetica, sostenuta da una lucida esposizione “scolastica”, in senso medioevale. E questo proprio nel momento in cui l’osabile, in arte, era in via di esaurimento. A distanza di quarant’anni, la furia inventariale di Eco, raffreddata e cristallizzata, fornisce comunque un prezioso bilancio della discussione estetica fino agli anni ’60 del secolo scorso. Costringendoci a scuotere la polvere dai volumi di Diano, Anceschi, Pareyson e Rossi-Landi, a riconsiderare possibilità smarrite ma non perse.
“Traguardi” del Prof. Umberto Eco
Academic Degrees
1954 – Laurea in Philosophy at the University of Torino.
1961 – Libero Docente in Aesthetics.
1975 – Ordinario di Semiotica at the University of Bologna.
1985 – Doctor Honoris Causa, Katolieke Universiteit, Leuven.
1986 – Doctor Honoris Causa, Odense University, Danmark.
1987 – Doctor Honoris Causa, Loyola University, Chicago.
1987 – Doctor Honoris Causa, State University of New York.
1987 – Doctor Honoris Causa, Royal College of Arts, London.
1988 – Doctor Honoris Causa, Brown University.
1989 – Doctor Honoris Causa, Université de Paris, Sorbonne Nouvelle.
1989 – Doctor Honoris Causa, Université de Liège.
1990 – Doctor Honoris Causa, University of Sofia.
1990 – Doctor Honoris Causa, University of Glasgow.
1990 – Doctor Honoris Causa, Universidad Complutense de Madrid.
1992 – Doctor Honoris Causa, Kent University, Canterbury
1993 – Doctor Honoris Causa, Indiana University.
1994 – Doctor Honoris Causa, University of Tel-Aviv.
1994 – Doctor Honoris Causa, University of Buenos Aires
1995 Doctor Honoris Causa, University of Athens
1995 – Doctor Honoris Causa, Laurentian University at Sudbury (Ontario)
1996 – Doctor Honoris Causa, Academy of Fine Arts, Warsaw
1996 Doctor Honoris Causa, University Ovidius, Constanta.
1996 Doctor Honoris Causa, University of Santa Clara (California)
1996 Doctor Honoris Causa, University of Tartu
1997 – Doctor Honoris Causa, Université de Grenoble
1997 – Doctor Honoris Causa, Universidad de Castilla-La Mancha.
1998 Doctor Honoris Causa, Lomonosov University of Moscow.
1998 Doctor Honoris Causa, Freie Universität, Berlin.
2000 Doctor Honoris Causa, Université du Quebec, Montreal
2001 Doctor Honoris Causa, Open University
2002 Doctor Honoris Causa, Rutgers University
2002 Doctor Honoris Causa, University of Jerusalem
2002 Doctor Honoris Causa, Università di Siena
2004 Doctor Honoris Causa, Université de Franche Comté, Besançon
Academic Appointments
1961-4 Lecturer in Aesthetics at the University of Torino, Facoltà di Lettere e Filosofia and at the Politecnico of Milano, Facoltà di Architettura.
1966-69: Associate Professor of Visual Communication, Facoltà di Architettura, University of Firenze.
1969-71 Associate Professor of Semiotics, Facoltà di Architettura, Politecnico di Milano.
1969 Visiting Professor: New York University
1971-75 Associated Professor of Semiotics, Facoltà di Lettere e Filosofia, University of Bologna.
1972 Visiting Professor Northwestern University
1975 -. Full Professor of Semiotics, University of Bologna.
1975 Visiting Professor UC-San Diego
1976 Visiting Professor New York University
1976-77, 1980-83: Director of the Istituto di Discipline della Comunicazione e dello Spettacolo, University of Bologna.
1977 Visiting Professor Yale University
1978 Visiting Professor Columbia University
1980 Visiting Professor Yale University
1981 Visiting Professor Yale University
1983/88 Director of the Istituto di Discipline della Comunicazione, University of Bologna.
1984 Visiting Professor Columbia University
1986/02 Director of the PhD Program in Semiotics, University of Bologna.
1989 -… President of the International Center for Semiotic and Cognitive studies, University of San Marino.
1989-95 Member of the CSEO (Executive Scientific Committee) of the University of San Marino
1990 Tanner Lecturer, Cambridge University.
1992/93 Professeur étranger, Collège de France, Paris.
1992/93 Norton Lecturer, Harvard University.
1993-98: Chair of Corso di Laurea in Scienze della Comunicazione, University of Bologna.
1996 Professeur étranger, Ecole Normale Superieure, Paris
1996 Visiting Fellow of The Italian Academy, Columbia University, New York.
1998 Goggio Lecturer, University of Toronto.
1999 – President of the Scuola Superiore di Studi Umanistici, University of Bologna.
2002 Weidenfeld Lecturer, Oxford University
2002 – President of the Istituto Italiano di Scienze Umane
Scientific Appointments
1965…. Honorary Trustee of the James Joyce Association.
1972-79: Secretary General of the IASS/AIS (Internationa
l Association for Semiotic Studies);
1979-83: Vice-President of IASS/AIS 1994 -. Honorary President of the IASS/AIS
1971 -.. Editor of VS-Semiotic Studies.
1991 – . Honorary Fellow, Rewley House I (now Kellogg College), Oxford.
1992-93 Member of the International Forum of Unesco
1992 – Member of the Académie Universelle des Cultures, Paris.
1994 – Member of the Academy of Sciences of Bologna.
1998 – Member of the Academia Europea de Yuste
1998 – Honorary Member of the American Academy of Arts and Letters
2002 Honorary Fellow, St: Anne’s College, Oxford.
2003…… Member of the Council of Advisors of the Bibliotheca Alexandrina
Member of the International Academy of Philosophy of Art. Member of the editorial board of Semiotica, Poetics Today, Degrès, Structuralist Review, Text, Communication, Problemi dell’informazione, Word & Images, etc.
Literary Awards and Decorations.
1981: Premio Strega, Premio Anghiari, Premio Il Libro dell’anno.
1981: Honorary Citizen of Monte Cerignone
1982: Prix Medicis Etranger (France) .
1983: Columbus Award of the Rotary Club, Florence.
1985: Commandeur de l’Ordre des Arts et des Lettre (France)
1985: Marshall McLuhan Award – Unesco Canada and Teleglobe.
1989: Premio Bancarella
1993: Chevalier de la Legion d’Honneur (France). 2003, Officier.
1995: Golden Cross of the Dodecannese, Patmos (Greece).
1996 Cavaliere di Gran Croce al Merito della Repubblica Italiana
1999 Orden pour le Merite für Wissenschaften und Künste (Germany) 1999 Crystal Award, World Economic Forum, Davos.
2000 Premio Principe de Asturias, Oviedo
2000 Dagmar and Vaclav Havel Vision 97 Foundation Award
2001 Transcendent Satrape du Collège de Pataphysique
2002 Austrian State Award for European Literature
2002 Prix Mediterranée Etranger (France)
Other Activities
1954-I959: Editor for Cultural Programs, RAI, Italian Radio-Television, Milano.
1959-1975: Non fiction senior editor, Casa Editrice Bompiani, Milano.
1962-…: Columnist for Il giorno, La stampa, Corriere della Sera, La Repubblica, L’Espresso, Il Manifesto.
Member of the Council for the United States and Italy.
Member of the Aspen Institute, Italy
Collaborations with Unesco, Servizio Programmi Sperimentali of RAI, Centro di Fonologia Musicale-Milano, Triennale-Milano, Expo 1967-Montreal, Fondation Européenne de la Culture, Europalia (Bruxelles), European Commission.
Umberto Eco | Pensiero | Teoria
La dialettica proficua tra gli scritti di Eco e le reazioni che hanno sollevato è un altro dei tratti costituenti del suo pensiero semiotico. Così, la produzione (o l’esportazione) sarà il fattore descrittivo dominante. Infatti, le reazioni più importanti alle opere echiane si basano spesso sulle traduzioni. Inoltre, Eco non ha mancato di replicare a sua volta, soprattutto nelle prefazioni di ristampe di libri esauriti. Le informazioni dateci palesano il carattere polemico della ricezione dei suoi scritti.
Il primo saggio importante per la costituzione della semiotica echiana fu Opera aperta (1962). In questo scritto, Eco operava una trasformazione pragmatica nell’ambito del discorso metalettarario che svilupperà più tardi, promovendola ad un capitolo della sua teoria semiotica: veniva sottolineato il ruolo del lettore. L’analisi di opere d’avanguardia lo spinse a porre il problema del momento interpretativo, anche al livello più generale del rapporto tra opera (ma anche gli altri fenomeni culturali) e fruitore.
Questo approccio era doppiamente provocatorio, anche se il primo scopo dell’autore non era tale. Infatti, il saggio (o meglio la raccolta di saggi) si situava sullo sfondo di un clima culturale in cui era ancora assai presente lo spettro dell’estetica crociana. La teoria echiana, qualificata dagli oppositori come “tecnicista” e “formalista”, urtava contro la teoria della “cosmicità” dell’opera d’arte, e della “miracolosa ineffabilità” del momento poetico.
La provocazione era quindi sentita come tale da una tradizione culturale tipicamente italiana. Ma non tutti i dissensi si collocavano in un discorso tradizionale. In una reazione evocata ad almeno tre riprese, Claude Lévi-Strauss rifiutava la nozione di opera aperta. Secondo lui, l’approccio strutturale potrebbe garantire l’analisi esauriente di tutte le proprietà di qualsiasi testo. Questa sua affermazione era una conseguenza logica del dogma strutturalista dell’analisi immanente. Ma nel 1967, Eco ribadiva: la nostra ricerca non ha nulla a che vedere con lo strutturalismo.
Possiamo trovare una descrizione della situazione in cui veniva proposta la teoria dell’opera aperta nell’introduzione del Lector in fabula (1979, in realtà una giustificazione semiotica della sua intuizione di diciassette anni prima): infatti era dogma corrente, in quella fase della vicenda strutturalista, che un testo andasse studiato nella propria struttura oggettiva, quale appariva nella propria superficie significante. L’intervento interpretativo del destinatario era messo in ombra, quando non era decisamente espunto come impurità metodologica. […] Si trattava in quegli anni, quasi, di farsi perdonare l’attenzione al momento intepretativo.
Come abbiamo già accennato, l’idea della collaborazione del “fruitore d’opera d’arte” verrà approfondita attraverso i saggi di semiotica generale nel Lector in fabula. In una intervista Eco riformula, dopo le sue esperienze semiotiche, la definizione dell’opera aperta:
L’apertura è la predisposizione programmata di una cooperazione particolarmente libera, nel tentativo (tuttavia) di dirigere l’iniziativa dell’interprete secondo certe possibili tendenze di interpretazione che l’opera non impone ma in qualche modo predispone, rendendole più probabili.
Ritornando al tempo della sua pubblicazione, possiamo individuare in “Opera aperta” altri aspetti profetici. Anche se la ricezione del saggio si ambientava soprattutto in un contesto critico-letterario, la ricerca svolta da Eco prendeva in esame diverse forme d’arte: Joyce, Stockhausen, Godard, ecc., erano per lui altrettanti rappresentanti della poetica dell’opera aperta. L’interdisciplinarità dello strumento e del materiale faceva spicco in un clima ove prevaleva ancora l’idea del “grande uomo di cultura” che inventava “grandi opere originalissime col sangue blu delle più rispettabili tradizioni intellettuali”. L’attenzione rivolta al cinema in un contesto “estetico” e la sua promozione al campo della “alta cultura” rispecchiavano la volontà ininterrotta di Eco di mischiare le carte dell’axiologia culturale. La pluridisciplinarità del materiale presentava tuttavia un punto debole: la via d’accesso (qui, “teoria” sarebbe un termine sfortunato) era un approccio concentrico, metaforico, e quindi, ipotetico. La ricerca di una teoria unificatrice porterà Eco ad interessarsi della vicenda semiotico-strutturalista.
Affrontando la problematica del ruolo della cultura e della ideologia nella semiotica di Eco si nota, che le due componenti erano già presenti negli scritti echiani sin dall’inizio degli anni Sessanta. Molte delle attività del Gruppo 63 si collocavano nel campo dell’analisi socio-ideologica. A questo proposito, ricordiamo le opere di Sanguineti (Ideologia e linguaggio), di Guglielmi (Avanguardia e sperimentalismo), di Curi (Ordine e disordine), di Barilli (La barriera del naturalismo), ecc.
Ma perché Eco dovrebbe rivolgere tanta attenzione a questi problemi? Perché neanche la sua semiotica è innocente:
la semiotica non è solo una teoria ma una pratica continua. Lo è perché il sistema semantico muta ed essa non può descriverlo che parzialmente e in risposta ad accadimenti comunicativi concreti. Lo è perché l’analisi semiotica modifica il sistema che mette in luce. Lo è perché la pratica sociale stessa non può che esprimersi in forma di semiosi. I segni sono dunque una forza sociale e non semplici strumenti di rispecchiamento di forze sociali.
Nelle scienze umane si incorre sovente in una fallacia ideologica che consiste nel considerare il proprio discorso immune dall’ideologia e, al contrario, “oggettivo” e “neutrale”. Sfortunatamente ogni ricerca è in qualche modo “motivata”. La ricerca teorica è solo una delle forme della pratica sociale
La prima citazione contiene già la maggior parte delle idee che sono alla base del nostro ragionamento, pur mancando ancora l’anello tra i segni in quanto forze sociali e la realtà in cui “l’impegno” può svolgersi per modificarla. Si tratta ovviamente della nozione di “cultura”, perché:
intendiamo per ideologia l’universo del sapere del destinatario [di un dato messaggio] e del gruppo a cui appartiene, i suoi sistemi di attese psicologiche, i suoi atteggiamenti mentali, la sua esperienza acquisita, i suoi principi morali (diremmo la sua “cultura”, nel senso antropologico del termine, se della cultura così intesa non facessero parte anche i sistemi retorici).
La cultura dunque è il fondamento di ogni discorso sulle attività semiotiche in quanto attività sociali. Occorre quindi studiare prima di tutto, la nozione stessa di “cultura”.
Contributi politici
Nel 1971 fu tra i 757 firmatari della lettera aperta a L’Espresso sul caso Pinelli, anche nota come appello contro il commissario Calabresi. Firmò nello stesso anno anche l’Autodenuncia di solidarietà a Lotta Continua, in cui una cinquantina di firmatari esprimevano solidarietà verso alcuni militanti e direttori responsabili del giornale inquisiti per istigazione a delinquere.
I firmatari si autodenunciavano alla magistratura dicendo di condividere il contenuto dell’articolo. Peraltro le severe critiche di Eco al terrorismo e ai vari progetti di lotta armata sono contenute in una serie di articoli scritti sul settimanale L’Espresso e su Repubblica, specie ai tempi del caso Moro (articoli poi ripubblicati nel volume Sette anni di desiderio). In effetti l’arma che ha caratterizzato l’impegno politico di Eco è diventata l’analisi critica dei discorsi politici e delle comunicazioni di massa.
Questo impegno è sintetizzato nella metafora della guerriglia semiologica dove si sostiene che non è tanto importante cambiare il contenuto dei messaggi alla fonte ma cercare di animare la loro analisi là dove essi arrivano (la formula era: non serve occupare la televisione, bisogna occupare una sedia davanti a ogni televisore). In questo senso la guerriglia semiologica è una forma di critica sociale attraverso l’educazione alla ricezione. Dal 2002 partecipa alle attività dell’associazione Libertà e Giustizia, di cui è uno dei fondatori e garanti più noti, partecipando attivamente tramite le sue iniziative al dibattito politico-culturale italiano.
Il suo libro A passo di gambero (2006) contiene le critiche a quello che lui definisce populismo berlusconiano, alla politica di Bush, al cosiddetto scontro tra razze e religioni.
UNA (VECCHIA) INTERVISTA (Milano – SMAU, 21/09/95)
“Nomenclatura e democrazia elettronica”
Tratto da Mediamente.Rai.it
Domanda 1
Negli anni Ottanta, davanti alla tecnologia, c’era la paura del Grande Fratello. Adesso, con le reti e l’interattività, ci troviamo di fronte al fenomeno quasi opposto: ad una grande overdose.
Risposta
E’ una specie di anarchia totale, milioni di piccoli fratelli.
Domanda 2
Interattività, quindi, significa che tutti coloro che hanno qualcosa da dire lo potranno dire attraverso le reti?
Risposta
In teoria sì, però vuole dire anche che parlano milioni di persone che non hanno niente da dire. Il che, di per sé, non sarebbe un guaio. Il guaio consiste nel riuscire a selezionare l’informazione che ci interessa. Ne facevo oggi l’esempio: se le regalano un miliardo di dollari, a patto che lei li conti uno per uno, ad uno al secondo, ci vogliono trentun’anni; se poi dorme anche, allora gli anni sono più di sessanta. Con i dollari, però, uno le dà un assegno ed è fatta, con l’informazione no. Se mi arriva un miliardo di informazioni o le considero una ad una, oppure è come se non esistessero. Per il futuro si viene così a creare un problema di educazione anche per la selezione dell’informazione. E dunque: non c’è più il Grande Fratello, ma siamo noi che possiamo perderci nella foresta.
Domanda 3
Lei ha detto: “Lasciatemi coltivare l’utopia possibile di una nomenclatura di massa”. Cosa significa?
Risposta
Intendevo dire che tutti questi nuovi mezzi sono ancora riservati ad una élite: in Italia c’è un computer collegato ad Internet ogni milleottocento persone. Ma anche in America, dove ce n’è uno collegato in rete, per settantasei persone che posseggono un computer, vuol dire che ce n’è uno ogni milleseicento americani. In effetti abbiamo a che fare con ciò che io chiamo una “nomenclatura” nel senso sovietico del termine, ovvero ad una classe privilegiata che sa dominare questi mezzi e ha dunque sapere, informazione, eccetera; quindi, con una classe mediamente alfabetizzata, che li domina solo in modo passivo, come l’impiegato delle compagnie aeree che usa il computer per avere i voli; e infine, con un enorme proletariato, che ne rimane escluso, che ha solo la televisione. Allora, il problema democratico è di riuscire ad arrivare ad una nomenclatura di massa. Che poi è stato lo stesso problema che si è dovuto affrontare con l’alfabeto e con il libro, prima riservati a pochi sacerdoti e poi, dall’invenzione della stampa, alla portata di tutti. Per arrivare a questo nel campo dell’informatica, siccome, non si può obbligare ogni cittadino a comprare un computer e tutti i programmi – considerata oltretutto la precoce obsolescenza di questi strumenti, che fa sì che dopo sei mesi un computer è già vecchio e bisognerebbe cambiarlo – è nata l’idea di spazi, che idealmente, dovrebbero esistere in ogni quartiere cittadino, in ogni edificio scolastico, dove uno entra ed ha a disposizione decine e decine di postazioni, dove può fare tutto e può imparare tutto e può addestrarsi a gettone… Se tu non puoi avere l’automobile personale, ci devono però essere dei servizi di taxi, per cui quando hai bisogno dell’automobile con dieci mila lire puoi usarla.
Domanda 4
La loggia telematica?
Risposta
La loggia telematica. Il portico telematico, ecco. Alcuni amici stanno mettendo in piedi, a Bologna, questa esperienza col comune, che ha dato uno spazio, e stanno passando proprio alla fase esecutiva. La prospettiva che deve interessarci oggi non è quella di vendere la merce, ma di vendere il servizio, poi, nel futuro, chiunque, come oggi ha il telefono, potrà avere la sua la sua macchina in casa. Ma per ora bisogna superare questo aspetto elitario.
Domanda 5
Qual è la sua esperienza personale di navigatore in Internet?
Risposta
E’ modesta, diciamo la verità. Sono come uno che comincia a leggere, che si prende dei libri illustrati e seguendo col dito pronuncia ad alta voce le parole… Uno dei rischi di Internet è l’auto finalità. Si passano le notti a cercare su Internet informazioni che riguardano l’uso di Internet. Ecco, questo può diventare un vero e proprio blocco psicologico: passare una notte intera a navigare su Internet va benissimo se sei in uno stato di depressione, se sei stato abbandonato dalla persona amata, altrimenti no… Così, al momento, mi sto divertendo a fare queste navigazioni per vedere se riesco a trovare immediatamente l’informazione che mi serve. Ma sto provando anche tutto lo smarrimento di questa foresta in cui ci si trova di fronte ad un’offerta enorme. Certe volte vado a cercare una cosa e poi scopro che non era quel che volevo, che ciò che volevo era da un’altra parte… E allora penso: se io che sono una persona di media intelligenza, di esperienza intellettuale, faccio tutta questa fatica, figuriamoci tutti gli altri; a meno che non si sia un giovane hacker di quattordici, quindici anni, uno di quelli che nascono col pollice verde e in questo mondo ci vivono come nel loro ambiente naturale.
Domanda 6
Ma alla democrazia elettronica lei ci crede?
Risposta
Nella misura in cui credo alla democrazia. Sappiamo tutti che viviamo in una democrazia imperfetta, e che, come diceva Churchill, è un pessimo sistema ma tutti gli altri sono peggio. E’ una direzione verso cui marciare, insomma. Certo: anche se tutti dovrebbero leggere, ci sono ancora degli analfabeti, c’è tre quarti dell’Africa che non sa leggere. Ma questo non impedisce che esista l’Unesco che cerchi di far leggere gli analfabeti del centro Africa, ecco.
Domanda 7
Dunque in Italia non saremo colonizzati dalle grandi multinazionali per i contenuti veicolati sulle reti ma avremmo possibilità di esprimerci liberamente.
Risposta
Se si è alfabetizzati sì. Perché, se vuole, lei domani instaura la sua cosiddetta home page su Internet, e parla lei. Poi, ci sono i limiti naturali: se parla in italiano, evidentemente, viene ricevuta solo dagli italiani, ecco dunque che dovrà parlare in inglese e così via. Ma questa è la colonizzazione naturale, non riguarda solo Internet. Ma riguarda i blue jeans e la coca cola, le canzoni.. L’anarchia di Internet fa sì che non hai bisogno di un Ted Turner potentissimo per avere l’informazione, la puoi mettere tu. Poi, si tratta di vedere se gli altri la trovano e l’apprezzano. Ultimamente un signore americano ha fatto una home page dove ha messo la foto del suo colon, ripresa con la sonda gastrica. Poveretto, evidentemente la vita non gli dà niente, non ha possibilità di farsi conoscere, e fa conoscere a tutti il suo colon. Per lui una grande soddisfazione, ma per quello che capita per sbaglio su quella informazione, passato il primo momento di divertimento, è stata una perdita secca, anche di soldi, in termini di costo della telefonata… Ma questa purtroppo è la democrazia. La democrazia è anche Hyde Park: dove salgono a parlare tutti, e c’è quello che dice cose interessanti e quello che dice delle sciocchezze, e ciascuno di noi deve capire al volo se è una cosa che gli interessa o no.
Domanda 8
Nell’educazione, con il passaggio agli strumenti telematici e multimediali, non c’è un rischio di superficialità?
Risposta
No. Non nell’educazione. L’educazione dovrebbe consistere nell’insegnare a sapere discernere, arte difficilissima. Ma un medio lettore sa, aprendo un libro alle prime pagine, se si tratta di un romanzaccio erotico o di un libro di filosofia, e decide. Prende quello che vuole. Ecco, questo vuol dire che un minimo di alfabetizzazione ci insegna, se non altro, a capire immediatamente che cosa ci capita in mano, quando andiamo in libreria. Raggiungere lo stesso grado di consapevolezza, in questa nuova giungla telematica, è un notevole problema. Ma è un qualcosa che in futuro andrà insegnato a scuola, così come si insegna a riconoscere una poesia da un brano di prosa, anche un bambino sa che quando va a capo e c’è la rima è una poesia.
Domanda 9
Benissimo. Quindi, prima di tutto, alfabetizzazione elettronica.
Risposta
Sì.
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