Biografia di Karl Mannheim
Karl Mannheim nasce a Budapest nel 1893.
Muove i suoi primi passi in Ungheria, ma molto giovane si trasferisce in Germania assumendo l’incarico di docente di sociologia a Francoforte. È qui che avviene la sua formazione intellettuale, abbracciando una posizione marxista, originariamente influenzato dal suo primo maestro Lukacs.
Successivamente il suo pensiero si evolve nuovamente, in quanto, subisce l’influenza dell’idee dominanti dell’epoca, ovvero abbraccia indirettamente le idee di Max Weber e, ancor di più, riceve l’insegnamento del fratello di quest’ultimo, Alfred Weber.
Pensiero di Karl Mannheim
Mannheim è uno dei padri fondatori della sociologia della conoscenza, branca assai importante della scienza sociologica, ma che per lo studioso ungherese esprimeva qualcosa di molto più vasto e coinvolgente.
Infatti, dietro l’elaborazione della sociologia della conoscenza pulsa una problematica estremamente complessa: Mannheim avverte di vivere in un’epoca di profonda crisi spirituale, sociale e politica, in quanto si assiste ad un definitivo superamento delle concezioni idealistiche della realtà prodotte dalla filosofia ottocentesca.
In particolare, si è giunti ad una trasformazione di credenze e valori operata da uomini concreti situati in un concreto contesto storico-sociale. Così solo la sociologia della conoscenza è in grado di cogliere cause e ragioni pratico-sociali della genere, dello sviluppo e dell’eventuale scomparsa delle elaborazioni intellettuali dell’agire umano, cioè solo attraverso il suo studio possiamo indagare sui processi su cui si fonda la conoscenza del mondo.
Secondo Mannheim, “vediamo” il mondo attraverso le lenti della nostro cultura e ideologia, e come una funzione della posizione occupata nella società: la verità è relativa e dipende dalla prospettiva del soggetto.
Ideologia e Utopia
l’opera più importante di Karl Mannheim
Grandissima risonanza internazionale ha avuto la sua opera principale “Ideologia e Utopia” del 1929, in cui analizza alcuni concetti destinati ad assumere un particolare rilievo nella sociologia contemporanea. Nell’analizzare il concetto di ideologia, Mannheim riprende il pensiero baconiano e la teoria degli “idola” della coscienza, giungendo ad offrire preziosi contribuiti teorici.
In questo senso è nota la sua distinzione tra “ideologia particolare” e “ideologia generale”.
La prima si riferisce alle idee e alla credenze di un singolo individuo, mentre la seconda fa riferimento ad una componente sociale nella produzione delle idee e quindi fa riferimento all’insieme delle idee di un interno gruppo e in una determinata era.
Molta attenzione Karl Mannheim l’ha riservata anche al concetto di utopia, riprendendo in questo caso, le teorizzazioni di Tommaso Moro, e assumendo nei confronti di tale nozione un atteggiamento per molti versi nuovo. Infatti da un lato, egli riconosce che gli utopisti sono individui e gruppi poco concreti e incapaci di diagnosi corrette relativamente al mondo in cui vivono.
Dall’altro, però, sottolinea che il loro proiettarsi verso situazioni nuove ha una considerevole valenza positiva. In effetti, nonostante l’ideologia e l’utopia siano accomunati dall’essere entrambe delle visioni del mondo, queste differiscono radicalmente nella loro natura: l’ideologia rappresenta il pensiero della classe dominante, essa quindi è tesa alla conservazione della realtà esistente; l’utopia rappresenta il pensiero delle classi dominate, essa è quindi tesa alla trasformazione della realtà esistente.
L’utopia si configura così come una realtà che non c’è ma che può essere realizzata. Karl Mannheim conclude la sua stessa opera con una vigorosa difesa finale dello spirito utopistico nel mondo contemporaneo. Mannheim conosce bene le cause, anche assai fondate che hanno condotto la moderna civiltà d’Occidente a diffidare dei movimenti utopistici, ma è anche convinto che la passionalità e la fede degli utopisti sono dei valori da non perdere.
Ora, il comune denominatore di tutte le visioni del mondo, ideologiche o utopiche che siano, sono in ogni caso, secondo Karl Mannheim, “storiche”, cioè variano al variare delle circostanze contingenti. Questa considerazione non apre, nel pensiero mannheimiano, la via al relativismo, bensì al relazionismo. Se con il primo termine si intende l’assenza di criteri controllabili di verifica in sede cognitiva ed etica, allora la sociologia della conoscenza non è relativistica. Essa infatti affermano che tali criteri non sono assoluti in quanto si danno solo in rapporto a determinati indici: ecco il relazionismo.
La sociologia della conoscenza in Karl Mannheim
La sociologia della conoscenza deve, quindi, cogliere connessioni e realizzare integrazioni sempre più ampie e oggettive. Tale compito è affidato da Mannheim all’intellighenzia, in quando la sua consapevolezza filosofico-sociologica permetterà alla società di sfuggire alle insidie del relativismo. Idealmente congiunta a tale prospettiva è anche la riflessione sociologico-politica dell’ultimo Karl Mannheim, ripercorribile nei volumi “Uomo e società in un’età di ricostruzione” del 1940 e “Diagnosi del nostro tempo” del 1944, incentrate entrambe sull’importanza del concetto di “pianificazione”, ossia sulla possibilità e/o necessità dello stato di organizzare in modo coordinato tutte le strategie indispensabili per fronteggiare le spinte disgregatrici operanti nella società contemporanea.
Successivamente a causa del nazismo si dovette trasferire in Inghilterra e visse qui fino alla sua morte. Non smise mai di interessarsi alla sociologia, infatti, fu nominato lettore di Sociologia alla London School of economics e nell’anno della morte, nel 1947, fu nominato presidente dell’Unesco.
- Claude Levi Strauss | Antropologo Francese - 4 Marzo 2018
- Albert Meister – Sociologo svizzero - 21 Gennaio 2018
- Herbert Blumer | Sociologo USA - 18 Ottobre 2017