Robert Merton – Pensiero, vita e opere
« Secondo lo struttural-funzionalismo sociologico statunitense, con esponenti storici di rilievo Talcott Parsons e Robert King Merton, sono il funzionamento sociale, la necessità che la società funzioni in senso oggettivo, le funzionalità presenti, che costituiscono un insieme decisivo da comprendere e studiare al fine di conoscere le strutture sociali e, di conseguenza, la società come oggetto di ricerca scientifica.
La società come sistema tende verso l’integrazione degli individui, i quali vengono collocati e si collocano in situazioni sociali (status) ed in ruoli (cioé attività sociali) definiti come la società li ha organizzati e prima ancora previsti. Robert King Merton è perciò sociologo che mette in rilievo le funzioni e le funzionalità della società.
Robert Merton esamina le funzionalità parsoniane come cose più complesse.
Egli ritiene la realtà esperita dagli individui un intreccio sistemico, interconnessione sociale di status e di ruoli; di conseguenza l’individuo non è rigidamente collocato nella società, con funzionalità senza contraddizioni o variazioni.
Inoltre, Merton individua aspetti in cui l’individuo non è socializzato e non aderisce ai mezzi ed ai fini della società, non accettando, pertanto, ogni status e ruolo socialmente prestabilito e funzionale al mantenimento del sistema sociale. Da ciò il termine devianza. »
Testo Iniziale Tratto e Rivisto da
Storia della Sociologia
Autore: Antonio Saccà
Robert Merton – Vita
Sociologo statunitense.
Robert King Merton, vero nome Meyer Robert Schkonick, nasce il 5 luglio 1910 (o secondo altre fonti biografiche, il giorno precedente, il 4 luglio, il Giorno dell’Indipendenza) a Philadelphia, Stati Uniti d’America, da una famiglia di ebrei poveri emigrati dall’Europa dell’Est, residenti in uno dei quartieri popolari più poveri della città nordamericana (gli slums).
Durante l’adolescenza fa parte di una gang del suo quartiere, cioé una banda ai limiti della legalità, formata da adolescenti; aiutato giovanissimo dalla madre, studiosa di filosofia, che ne incoraggia la preparazione culturale fin da piccolo, inizia a frequentare la Biblioteca, il Museo di Philadelphia e l’Accademia della Musica, riuscendo così ad acquisire una notevole preparazione culturale già durante gli anni di scuola.
La scelta di avere un nome diverso da quello di origine deriva dall’hobby personale del giovanissimo Merton, quello di cimentarsi come ‘mago’: il suo soprannome, Robert Merlin, nasce proprio dallo ‘sperimentare’ trucchi da prestigiatore a questa età; è proprio a modello dello stesso nomignolo che un amico gli suggerisce l’adozione del nome da lui adottato da adulto: dall’età di 14 anni adotta il nome di Robert King Merton.
Distintosi per intelligenza, desiderio e curiosità di apprendere, grazie alle borse di studio frequenta la Temple University, dove si diploma brillantemente nel 1931, con molteplici influenze culturali che produrranno notevoli conseguenze positive per la genesi teorica delle teorie sociologiche da lui elaborate, studiate, applicate; in seguito giunge alla prestigiosa Università di Harvard, conseguendo il dottorato nel 1936; ad Harvard fu uno tra i migliori collaboratori di Talcott Parsons, teorizzatore dello struttural-funzionalismo sociologico. Da allievo di Parsons elabora una dissertazione sulla scienza e l’economia nell’Inghilterra del XVII secolo.
Negli anni di impegno ad Harvard, altre influenze determinanti sono, per Robert Merton, il sociologo Pitirim Alexandrovich Sorokin, i sociologi europei Emile Durkheim e Georg Simmel e George Sarton, storico della scienza. Tra il 1939 e il 1941 Merton lavora a New Orleans, all’Università di Tulane, sposandosi con Suzanne Carhart (si separeranno nel 1968), da cui ha tre figli; uno di questi, Robert C. Merton, è stato insignito del Nobel per l’Economia nel 1997; nello stesso periodo, però, egli inizia una lunga relazione con la sociologa Harriet Zuckerman, relazione che lo porta al matrimonio con la stessa donna solo nel 1993.
Tuttavia non è alla pur prestigiosa Università di Harvard ma alla Columbia University, a New York, che Robert Merton trascorse la maggior parte della vita accademica (escluso il breve periodo di Tulane); alla Columbia University egli passa nel 1941; dal 1947 professore presso la cattedra di sociologia, costruisce un sodalizio umano e culturale intenso con Paul Felix Lazarsfeld, studioso che elaborò nel suo percorso intellettuale un imponente corpus di rilevanti interventi storico-scientifici; con Lazarsfeld sperimentò non solo la ricerca sociale al Bureau of Applied Social Research (Ufficio per la Ricerca Sociale Applicata) della Columbia University, come direttore associato, dal 1942 al 1971, ma anche la propria capacità personale nell’affrontare i nodi e le questioni relative all’attività scientifica di ricerca in proiezione teoretica futura.
I suoi studi relativi agli sviluppi della ricerca stessa di questo periodo si concretizzano in risultati nei campi della comunicazione di massa, nella assunzione ed analisi di dati relativi ai media e alla comunicazione intesa nella sfera sociologico-comunicativa più generale. Nel 1963 viene nominato Giddings Professor.
Tra le numerosissime onorificenze che Robert King Merton ricevuto come studioso operante nel corpo vivo del mondo scientifico, della sua nazione e, in generale, della comunità scientifica mondiale, la presenza delle quali amplifica socialmente e meritatoriamente i suoi successi scientifici pur non mutando minimamente l’ottimo giudizio critico esprimibile sugli indubbi risultati conoscitivi, abbiamo la National Medal of Science (“Medaglia Nazionale della Scienza”), massima onorificenza scientifica statunitense, … per il suo fondamentale contributo allo studio della vita sociale insignito ufficialmente dal Presidente degli Stati Uniti d’America, primo sociologo a ottenere tale riconoscimento, “per aver fondato la sociologia della scienza e per il suo fondamentale contributo allo studio della vita sociale”.
Inoltre ricevette dal 1956 oltre una trentina di titoli accademici honoris causa insieme alla presidenza onoraria del Consiglio Scientifico che ha curato per l’Accademia Svizzera dello Sviluppo (la SAD) una delle più ampie ricerche sociologiche dell’ultimo decennio, la ricerca internazionale comparata sull’anomia; la ricerca ha voluto spingersi verso una conoscenza sistematica e coerente di numerosi processi di crisi e di trasformazione come, ad esempio, la transizione alla democrazia nei Paesi dell’Est europeo, la modernizzazione della Cina negli anni ’90 del Novecento, la convivenza civile nel Sud Africa del dopo apartheid, le crisi politiche ed economiche dell’Africa Occidentale, la situazione dell’Argentina e di altri Paesi dell’America Latina, i processi indotti in Europa Occidentale dalla globalizzazione e dell’immigrazione dai Paesi extraeuropei.
Lavoratore mattiniero ed assiduo, iniziando la giornata lavorativa prima delle cinque del mattino, uomo vincitore di sei diversi tumori che ne hanno afflitto l’esistenza, viveva a Manhattan, New York; alto, fumatore di pipa, possessore di ben quindici gatti, il grande sociologo statunitense, decano della grande tradizione sociologica americana, espressione del mito americano del successo che arride ai capaci e ai meritevoli anche se di umili origini, Robert Merton moriva novantaduenne a New York il 23 febbraio 2003.
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TRA LE OPERE di Robert Merton
– Social Theory and Social Structure, Free Press, New York (1949; altre edizioni 1957 e 1968);
Teoria e struttura sociale, Bologna, Il Mulino, 1992
– Social Structure and Anomie (1938; ampliato fino al 1966);
Struttura Sociale ed Anomia
– Mass Persuasion (1946)
– On the Shoulders of Giants: A Shandean Postscript, New York,The Free Press (1965; edizioni sino al 1993);
Sulle Spalle dei Giganti. Postscritto shandiano, Bologna, Il Mulino
– Science, Technology and Society in Seventeentb-Century England, Fertig, New York (1967);
Scienza, Tecnologia e Società nell’Inghilterra del XVII secolo, Angeli, Milano
– The Sociology of Science: Theoretical and Empirical Investigations, University of Chicago Press, Chicago (1973);
La Sociologia Della Scienza. Indagini teoriche ed empiriche, Milano, Franco Angeli
– (con J. Gaston) The Sociology of Science in Europe, Carbondale
Ill./London: Southern Illinois University Press / Feffer and Simons (1977);
La Sociologia della Scienza in Europa, Milano, Franco Angeli
– (con David L. Sills) Social Science Quotations: Who Said What, When, and Where in International Encyclopedia
of the Social Sciences, vol. 19, New York, MacMillan Publishing Company (1990)
– 2002 (con Elinor G. Barber) The Travels and Adventures of Serendipity:
A Study in Sociological Semantics and the Sociology of Science;
Viaggi ed Avventure della Serendipity
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Robert Merton – Lo struttural-funzionalismo come centro teorico dell’impegno mertoniano
L’idea centrale da cui partire affinché sia possibile concepire la società dal punto di vista mertoniano è che l’organizzazione o la struttura di una società sia la fonte della sua stabilità. Già nella opera filosofica e sociale di Platone “Repubblica” si stabiliva un’analogia tra la società ed un organismo, inteso quale sistema di parti collegate in equilibrio dinamico. Questa concezione diventò il concetto centrale di una corrente di pensiero occidentale che influenzò i primi sociologi. Auguste Comte mise l’analogia organica al centro della sua concezione di società. Herbert Spencer organizzò tutta la sua filosofia sociale basandosi sulla proiezione teorica del medesimo assunto. La concezione di un sistema sociale come sistema dinamico di ripetive azioni sociali fu importante anche nell’analisi di illustri antropologi quali Bronislaw Malinowski, A.R. Radcliffe-Brown. Gli assunti teorici dello struttural-funzionalismo mantengono un ruolo importante nello sviluppo della moderna sociologia, grazie agli scritti di Robert Merton e Talcott Parsons.
Dal loro punto di vista, il termine struttura si riferisce al modo in cui sono organizzate le attività ripetive di una società. La famiglia, l’attività economica e politica, la religione e finanche i rituali magici e superstiziosi e molte altre forme di attività sociale, dal punto di vista comportamentale sono altamente organizzate.
Il termine funzione si riferisce al contributo che una particolare forma di attività ripetitiva dà al mantenimento di un ordine sociale, oggettivamente inteso, stabile e coeso, sostanzialmente in equilibrio. Sono state elaborate molte versioni di questo orientamento teorico generale per lo studio dei processi sociali. Ogni versione dell’assunto non esclude divergenze ed elementi controversi su quali di essi siano più importanti. Sociologi ed antropologi contemporanei stanno ancora discutendo su quale sia la versione migliore e quali siano i vantaggi, insieme agli svantaggi, dello struttural-funzionalismo, che rimane purtuttavia un valido assunto cognitivo nell’approccio teorico ed empirico sociologico, relativamente strategico per le scienze sociali.
La formulazione più chiara degli assunti dello struttural-funzionalismo classico rimane quella di Robert King Merton. Merton unificò le diverse versioni trasformandole, sintetizzandole e assimilandole in una sua formulazione. Personalmente molto critico verso le teorie struttural-funzionalistiche, Robert Merton affermò come postulati teorici sulla società che:
1) Una società può essere considerata come un sistema, formato di parti interrelate: essa è un’organizzazione di attività interconnesse, ripetitive, strutturate.
2) La società tende naturalmente ad uno stato di equilibro dinamico; se si verifica disarmonia, si creano forze tendenti a ristabilire la stabilità.
3) Data una società, tutte le attività ripetitive contribuiscono al suo stato di equilibrio. Detto in altri termini, tutte le forme continuative di azione strutturata contribuiscono a mantenere stabile il sistema sociale.
4) Almeno una parte delle azioni formali e ripetitive presenti in un assetto sociale sono indispensabili al mantenimento dello stesso assetto. Ciò significa che esistono fattori funzionali che soddisfano bisogni sociali sistemici essenziali, senza i quali il sistema dato non potrebbe continuare ad esistere.
Ad esempio, nel settore delle comunicazioni di massa, i media ed il processo delle comunicazioni di massa sono azioni ripetive e strutturate che hanno luogo nel sistema sociale in cui operano. I rapporti strutturali, cioé le dipendenze reciproche delle parti strutturali, tra sistemi di comunicazioni di massa ed altre sistemi sociali formanti con essi la società data, riguardano non soltanto il funzionamento quotidiano del sistema sociale dato, globalmente inteso, ma influenzano il modo in cui gli individui usano i sistemi di comunicazione di massa quotidianamente, cioé le abitudini mediatiche. I media contribuiscono all’equilibrio sistemico sociale, sul cui insieme esercitano un ruolo avente precise conseguenze, considerabili e rilevabili scientificamente.
I sistemi di comunicazione di massa, continuando nell’esempio relativo alla teoria mertoniana, posso essere considerati come componente indispensabile della struttura sociale costituente la società umana contemporanea; senza di essi la società contemporanea non potrebbe esistere così come oggettivamente essa esiste. Allo stesso tempo, però, le comunicazioni di massa possono essere disfunzionali, cioé possono contribuire alla disarmonia, minando l’equilibrio sistemico sociale e con ciò la stabilità della società, nel caso in cui hanno l’effetto di stimolare gli individui al comportamento deviante.
Il sistema sociale con Robert King Merton viene inteso come un organismo, le cui diverse parti svolgono funzioni di integrazione e mantenimento del sistema. Sono gli individui che, in quanto prestatori di una funzione sociale, sono con ciò strumento (o mezzo) per il perseguimento dei fini della società, ed in primo luogo della sua sopravvivenza autoregolata.
Ogni sistema sociale, infatti, possiede dei meccanismi di socializzazione che realizzano il processo attraverso cui i modelli culturali del sistema vengono a essere interiorizzati dagli individui che risultano così avere personalità socializzate, pronte quindi ad adeguarsi ai modelli di valori che la società richiede come modelli teorici sui quali temperare le loro azioni.
Specialmente riferendosi al modello teorico che influenza Merton, nella visione struttural-funzionalista gli esseri umani sono spinti ad agire secondo stimoli di valori culturali interiorizzati che regolano le loro azioni sociali. La logica che regola i fenomeni sociali è costituita dai rapporti funzionali, i quali presiedono alla soluzione di quattro problemi fondamentali, o imperativi funzionali, cui ogni sistema sociale deve fronteggiare:
– Conservazione del modello sociale e controllo delle tensioni
– Adattamento all’ambiente sociale; un esempio di funzione che assolve al problema dell’adattamento è la divisione del lavoro, la quale trova il suo fondamento nel fatto che nessun individuo può svolgere contemporaneamente tutti i compiti sociali necessari alla sopravvivenza della struttura sociale
– Perseguimento degli obiettivi; ogni sistema sociale ha una moltitudine di fini da raggiungere, spesso soltanto mediante sforzi di carattere cooperativo come la difesa territoriale, l’incremento della produzione economica e via discorrendo
– Integrazione dei membri sociali; le parti che insieme compongono il sistema devono essere necessariamente interrelate. Ossia ci deve essere fedeltà tra i membri di un sistema e fedeltà al sistema stesso nel suo insieme. Al fine di contrastare le tendenze disgreganti, c’è bisogno di meccanismi che sorreggano la struttura sistemica fondamentale.
Alla soluzione degli imperativi funzionali (il problema adattivo, integrativo, del perseguimento dello scopo, del mantenimento dello schema valoriale), presiedono diversi sottosistemi: ogni struttura parziale ha una funzione se contribuisce alla soddisfazione di uno o più bisogni di un sottosistema sociale. Rispetto al problema del mantenimento dello schema dei valori, ad esempio, il sottosistema delle comunicazioni di massa è funzionale poiché assolve al compito di ribadire e rinforzare i modelli di comportamento esistenti nel sistema sociale.
Un sottosistema sociale specifico è composto da tutti quegli aspetti strutturali che risultano rilevanti rispetto a uno dei problemi funzionali fondamentali. Una struttura parziale o sottosistema può essere anche disfunzionale, nel senso di ostacolare la oggettiva e concreta soddisfazione di uno dei bisogni fondamentali.
Notare che la funzione sociale si differenzia dal proposito di individui e gruppi sociali: mentre quest’ultimo implica un elemento soggettivo, legato all’intenzione propria dell’individuo che agisce, la funzione è intesa quale conseguenza oggettiva dell’azione.
Le conseguenze delle azioni di parti della società possono avere anche una direzione diversa o accessoria da quella voluta: molte strutture parziali del sistema sociale hanno conseguenze dirette su altre strutture parziali, su altri sottosistemi. Esistono cioè funzioni (o disfunzioni) indirette, oltre che dirette; infine, le funzioni (e disfunzioni) possono essere manifeste o latenti: funzioni (o disfunzioni) manifeste sono quelle volute e riconosciute, funzioni (o disfunzioni) latenti sono le funzioni (o disfunzioni) non riconosciute né coscientemente volute.
Sguardo generale al contributo scientifico di Robert Merton
Come sociologo e mente tra le migliori della ‘scuola’ sociologica funzionalista in America, Robert K. Merton diede molte contributi originali allo sviluppo della sociologia moderna, partendo da idee che trasmutavano e sublimavano l’indubbio carisma umano dello scienziato, del ricercatore, dello scrittore nel concreto dispiegarsi del suo impegno scientifico. Fu uno dei sociologi più influenti, padre di concetti entrati nell’uso politico e scientifico comune, come il concetto di focus group. Il focus group è una tecnica di rilevazione per la ricerca sociale dei primi anni ’40. Da allora i ricercatori che hanno adottato questa tecnica hanno introdotto una serie di innovazioni, cosicché oggi sono individuabili tipi diversi di focus group, distinguibili sulla base del livello di strutturazione, della composizione del gruppo e del ruolo rivestito dal moderatore. Rilevanti i suoi apporti teorici ed empirici allo studio scientifico in relazione alla burocrazia, alla comunicazione di massa, sopratutto nelle ricerche in collaborazione con Paul Lazarsfeld. La sociologia della scienza lo vede inoltre nella duplice veste di massimo padre ed esponente teorico.
In relazione al suo contributo originale sopra riconsiderato alle teorie struttural-funzionalista, va aggiunto che l’ottica funzionalista proposta da Merton differisce significativamente da quella del suo maestro Talcott Parsons: i suoi scritti si possono definire più prudenti. Tale prudenza teorica si concreta nella sua predilezione per le cosiddette “teorie a medio raggio” (in evidente contrasto con la “grande teoria” onnicomprensiva cui ambiva Parsons) che non si prefiggono di abbracciare la società nel suo complesso, ma non sono neppure semplici sequenze di ipotesi empiriche scollegate. Nella sua opera egli è spesso teso a cercare di armonizzare l’approccio teorico a quello empirico, l’analisi qualitativa a quella quantitativa. Secondo Merton, limite grave dei primi funzionalisti consisteva nel fatto che essi tendevano a leggere troppa razionalità funzionale nelle pratiche sociali. Questo iperfunzionalismo teorico era considerato concettualmente rigido e limitativo al livello pratico conoscitivo e di ricerca. Innanzitutto egli abbandona la visione funzionalista secondo cui noi viviamo nel migliore dei mondi possibili: il suo sguardo disincantato al mondo lo portava a notare come molte pratiche persistono malgrado non abbiano benefici particolari né per i singoli né per la società. Perciò la dialettica funzionale-disfunzionale non esauriva le possibili istanza conoscitive della sociologia poiché non tutto il sistema sociale era costituito dalle pratiche sociali appartenenti al binomio teorizzato da Parsons.
L’idea di “società” come totalità era secondo Robert King Merton fuorviante, perché lo stesso elemento sociale può essere funzionale per certi individui, gruppi o sistemi ed essere disfunzionale per altri senza che l’originale teoria parsoniana avesse considerato ed coerentemente sistemizzato il factum sociale considerato da Merton.
La critica personale, determinante al miglioramento degli studi struttural-funzionalisti, fu che gli uomini non sono sempre coscienti degli scopi che stanno perseguendo e, dunque, delle funzioni che assolvono i loro comportamenti. Di qui già citata distinzione che egli elabora tra funzioni manifeste e funzioni latenti. Un esempio che permette di chiarire questo passaggio è costituito dalla frequentazione della chiesa da parte dei fedeli cattolici. Una delle funzioni manifeste dell’andare in chiesa è essere più prossimi a Dio, commemorarlo ritualmente; una delle funzioni latenti di questa pratica consiste nel rafforzare l’integrazione sociale. Merton mostra inoltre come ogni individuo si rapporta ad almeno due gruppi. Da una parte abbiamo il gruppo di appartenenza, quello di cui è parte; dall’altro il gruppo di riferimento, cui aspira e ai cui valori si riferisce idealmente. L’eventuale scarto esistenziale e sociale che può verificarsi in questo rapporto è assunto considerabile come creatore di distorsioni e discrepanze nell’agire sociale.
Il riconoscimento per il lavoro di Robert Merton va al di là degli studi sociologici; i suoi contributi alla sociologia della scienza, in particolare sul fondamentale rapporto tra ricerca scientifica, innovazione tecnologica e organizzazione sociale, hanno suscitato l’interesse dei ricercatori delle più diverse discipline, dalla biologia alla fisica, dall’economia alla storia; si tratta di opere giustamente famose, dalla celebre ricerca su “Scienza, tecnologia e società nell’Inghilterra del XVII secolo” al trattato “Sociologia della Scienza”, a “Sulle spalle dei giganti” e infine a “Viaggi e avventure della Serendipity”, l’ultima opera pubblicata da Merton.
Concetti cruciali affrontati sono la devianza e l’anomia sociale. Merton distingue la devianza rispetto agli scopi prefissi e rispetto agli strumenti che individui e gruppi sociali scelgono per raggiungere gli scopi medesimi.
Da ciò possono nascere, infatti, secondo il sociologo statunitense, le tipologie astratte della devianza, da applicare di volta in volta a casi sociali concreti, sia riguardanti i singoli che i gruppi:
1) Innovatori – pur conformandosi agli scopi dominanti, deviano rispetto ai mezzi usati per raggiungerli.
2) Ritualisti – rimangono fedeli agli strumenti consueti pur non condividendo gli obiettivi da perseguire.
3) Rinunciatari – rifiutano valori, scopi comuni e norme riguardanti gli strumenti per raggiungere gli scopi.
4) Ribelli – mettono in discussione obiettivi e strumenti dominanti, non ritirandosi dalla ‘scena’ sociale ma bensì lottando al fine di affermare obiettivi e strumenti diversi.
5) Conformisti – coloro che non sono devianti.
Da questa analisi deriva un’interpretazione dell’anomia che assume un riconcettualizzazione diversa rispetto a quella della tradizione sociologica risalente a Durkheim. L’anomia, per Merton, è intesa come una condizione in cui vi è uno scarto tra gli scopi esistenziali che la cultura propone e le possibilità di raggiungerli attraverso comportamenti considerati ‘normali’ dalla stessa: ad esempio, dove il successo personale o la ricchezza (come nelle società occidentali avanzate) sono intesi come obiettivi che ciascuno dovrebbe perseguire, ma contemporaneamente la struttura sociale comporta barriere per cui molti non possono raggiungere tali obiettivi con i normali strumenti si affermano comportamenti devianti (poiché non sempre lavoro, istruzione ed altri parametri socioculturali e socioeconomici permettono di superare ineguaglianze originate da struttura sociale, fattori storici e psicosociali che ostacolino mobilità e mutamento sociale).
Robert Merton – Pensiero – Lo studio sulla devianza
Robert Merton si distanziò immediatamente dalle ipotesi sull’organicità dei fenomeni della devianza sociale.
Già nel 1938 egli scrive: “L’immagine dell’uomo come di un fascio di impulsi non domati comincia a sembrare più una caricatura che un ritratto […]. Perché, qualunque possa essere il ruolo degli impulsi biologici, resta pur sempre da spiegare per quale ragione la frequenza dei comportamenti devianti vari in differenti strutture sociali, e come accada che in strutture sociali differenti le deviazioni si manifestino in forme e modelli diversi.” – Tratto da “Social Structures and Anomie”.
I riferimenti all’influenza che la struttura sociale esercita sul comportamento del singolo è qui evidenziata. I sistemi simbolici, normativi e culturali presenti all’interno di un sistema sociale definiscono i campi di significato che le condotte degli uomini devono assumere per appartenere ad essa e condividerne gli assunti di base. La manifestazione di uno stile comportamentale dipende soprattutto dal significato attribuito ad esso, in relazione agli scopi sociali che intende perseguire, che la società stessa gli presenta come modelli da assimilare. Sicuramente una posizione opposta a quella psicologica attenta alle problematiche di tipo soggettivo.
A tal proposito Merton distingue fra le mete culturali e gli strumenti istituzionali. Le mete rappresentano ciò che una società mostra come obiettivi desiderabili da parte di ogni membro; il benessere, ad esempio, la possibilità di accedere a livelli di acculturamento elevati; la possibilità di disporre di beni di consumo. Gli strumenti (o mezzi) sono invece gli strumenti legittimi di cui i soggetti possono disporre proprio per soddisfare questi desideri, socialmente mediati.
Nella sua analisi, riferita soprattutto al contesto degli Stati Uniti, Merton osserva come queste due componenti non siano fortemente integrate e pertanto l’esaltazione eccessiva delle mete abbia condotto a una demoralizzazione, e cioè a una de-istituzionalizzazione degli strumenti. Scrive: “Via via che questo processo di attenuazione continua la società diventa instabile; e si sviluppa in essa ciò che Emile Durkheim ha chiamato “anomia” (o mancanza di norme). Secondo Durkheim le cause dell’anomia sono da ricercarsi nella eccessiva stimolazione delle aspirazioni individuali che la società industriale avrebbe introdotto. Da ciò infatti si creerebbe una sorta di insofferenza nei confronti dei sistemi di controllo, da un lato, e dall’altro un diffuso senso di malessere, di esasperazione e di irrequietezza dovuto alla concorrenzialità che si è venuta a creare all’interno dei vari strati della società. Questo conduce alla “rottura delle regole” e quindi al fenomeno dell’anomia. In una simile prospettiva, il concetto mertoniano di anomia riguarda la dissociazione fra valori socialmente stabiliti e strumenti leciti atti a procurarseli da parte del singolo individuo; anteponendo con ciò alla liceità strumentale l’efficacia pragmatica.
La riflessione mertoniana sulla devianza si allarga a una concezione più generale dei rapporti fra struttura sociale e struttura culturale; per Merton, “la struttura sociale si comporta di volta in volta come una barriera o una porta aperta nei confronti della realizzazione dei mandati culturali: quando la struttura culturale e la struttura sociale non sono integrate e la prima richiede dei comportamenti che la seconda impedisce, ne consegue una tensione che porta alla violazione delle norme o all’assenza di norme».
L’analisi mertoniana è particolarmente acuta nell’individuazione del meccanismo socio-culturale tipico dell’America urbana ma anche di ogni società post-capitalistica: « il processo per cui l’esaltazione del fine genera quel che nel senso letterale del termine si potrebbe chiamare una demoralizzazione […], cioè una de-istituzionalizzazione dei mezzi, si verifica in molti gruppi nei quali le due componenti della struttura sociale non sono grandemente integrate».
Volendo inquadrare il fenomeno teorico con una panoramica che deriva dalla società nordamericana, società ove nacque, visse e lavorò lo stesso Merton, osserviamo come la minoranza nera statunitense sia la protagonista principale negativa delle statistiche sociologiche.
I neri americani vengono classificati negli Stati Uniti d’America statisticamente come i più poveri, i meno istruiti, rappresentanti della maggioranza della popolazione carceraria della federazione, i maggiormente giustiziati con la pena capitale, i maggiori protagonisti attivi e passivi della violenza quotidiana che sconvolge gli USA.
Si può dire che gli afroamericani rappresentino un gruppo sociale particolarmente incline al fenomeno della devianza. Robert King Merton sostenne che la devianza emerge quando le norme socioculturali entrano in conflitto con la realtà sociale in cui vive l’individuo, letteralmente ‘immerso’ in un ambiente intriso di simboli culturali umani, d’abbigliamento, architettonici, industriali, paesaggistici, acustici ed in generale sensoriali-percettivi che comunicano un sistema valoriale assimilabile e con il quale confrontarsi.
Nella società americana (come in una certa misura ma con varianti anche notevoli in molte altre società occidentali industrializzate) i valori generalmente accettati enfatizzano le dinamiche del “farsi strada”, “fare soldi”, l’ideologia del self-made man ed in poche parole il successo materiale. Viene supposto che il raggiungimento di questi obiettivi passi attraverso il duro lavoro, unico viatico al vero il successo indipendentemente dalla condizione sociale di partenza. La realtà può non essere questa. La maggior parte di coloro che partono svantaggiati ha possibilità di miglioramento individuale molto limitate (la mobilità sociale è ridotta). Quelli che non ‘riescono’ si vedono, però, condannati da un rete sociale simbolica, umana e sopratutto psicologica per l’apparente incapacità di ottenere successo.
Il comportamento deviante risulta così una modificazione dei mezzi per raggiungere gli stessi fini propagandati dalla società. Così il ragazzo afroamericano del ghetto può iniziare a spacciare crack o a rapinare drugstore perché ciò costituisce, ai suoi occhi, l’unica strada al successo materiale di cui può disporre stante l’assetto sociale da lui vissuto, il suo orizzonte degli eventi (citando con ciò, non in maniera discorsivamente inopportuna, la relatività einsteiniana e gli studi astrofisici di S.Hawking).
Per rappresentare, con analogia multidisciplinare, la realtà del ghetto afroamericano per gli effetti sociali ed i rapporti devianti concreti rispetto all’ufficialità sistemica della società, tramite il medium cinematografico, si cita il regista Spike Lee, volendo inoltre sottolineare la pertinenza contestuale delle accuse di razzismo rovesciato con le quali i detrattori del medesimo criticano i suoi lavori cinematografici. Lo stesso regista statunitense, da un’ottica testimoniale, afferma: “Il pubblico è così abituato alle rappresentazioni della morte brutale della gente nera nei film di Hollywood che nessuno si sente oltraggiato quando i nostri corpi vengono trucidati violentemente. […] Esiste un accordo culturale collettivo per il quale la morte dei neri è inevitabile, senza significato, senza troppo valore.”.
Volendo ritornare alla analisi concettuale di anomia proposta da Robert K. Merton, può essere utile considerare e riassumere in ultimo le definizioni di anomia sia dello stesso Merton che del sociologo che più di ogni altro lo ha influenzato nel definirla, Emile Durkheim; per Emile Durkheim, anomico è lo stato di disordine causato dal conflitto in cui si trova l’individuo soggetto a una doppia appartenenza: con un piede nella cultura tradizionale (a solidarietà meccanica) e un altro in quella moderna (a solidarietà organica); tanto i periodi di depressione che di prosperità economica causano l’anomia provocano il crollo delle aspettative e delle norme; ciò, in casi estremi studiati dal sociologo francese, può portare ad un suicidio che ha cause più propriamente sociali che psicologico-individuali.
Robert King Merton considera tendente all’anomia lo stato per cui, con obiettivi stabiliti dalla società e ricercati doverosamente dall’individuo che ne interiorizza l’importanza, trasformati in bisogni da perseguire incessantamente e promessi teoricamente dalla cultura sociale a tutti, pur se a disposizione di pochi, lo scarto tra fini (una variabile di ordine culturale) e strumenti (una variabile di ordine istituzionale) spinge gli individui a soddisfare i propri bisogni utilizzandosi di scorciatoie comportamentali (gli strumenti devianti).
Analisi di fenomeni devianti e criminali
di Pamela Panaggio
È possibile definire la sua corrente sociologica dello << Struttural-funzionalismo >> , studiando la struttura della società e le funzioni che essa svolge. Uno dei lavori più celebri è sicuramente l’elaborazione della Teoria dell’anomia ( chiamata anche della tensione) ripresa però da Émile Durkheim dandogli un significato diverso e applicandola all’analisi del fenomeno della devianza e della criminalità. È utile ricordare il concetto di anomia di Durkhaim: anomia significa letteralmente “assenza o mancanza di norme“. Il termine deriva dal greco <<α >> “a-“ (senza) e <<Νόμος>>”nomos” (norma). Secondo il sociologo francese l’anomia è uno stato di cambiamento tra le aspettative normative e la realtà vissuta. Secondo Merton invece, l’anomia consiste in uno squilibrio tra le mete culturali che sono presenti in un determinato contesto sociale e i mezzi istituzionali legali attraverso i quali è possibile raggiungere le mete. In ogni società gli individui ricevono messaggi riguardo le mete da raggiungere (realizzazione professionale, tenore di vita alto) e stesso la società mette a disposizione dei mezzi istituzionali legali per raggiungerli (lavoro, istruzione). Merton ricordiamo che analizza una società degli anni 40 del Novecento e ricordiamo essere una società che tende alla ricchezza e al successo, tuttavia il sociologo riconosce che non sempre ci sono i mezzi per raggiungere le mete, c’è appunto una discrepanza, un’anomia, ed è qui che va ricercata la causa della criminalità. Preso atto di questo squilibrio, le persone si adattano e reagiscono in maniera differente, ci sono modi che generano conformità alle norme e altre che generano comportamenti devianti e criminali. Merton distingue 3 modi per adattarsi a queste tensioni:
Conformità: la persona si rende conto che c’è questa disparità tra mete e mezzi e si adatta conformandosi, magari abbassa le sue aspettative di vita ma decide di non violare le norme. L’individuo se non riesce a raggiungere le mete, conforma il suo comportamento alle norme della società. Condivide, accetta le mete e i mezzi.
Innovazione: modalità di adattamento di coloro che accettano le mete (ricchezza, successo, denaro) e le condividono ma, non potendole raggiungere con i mezzi che la società mette a disposizione, decidono di non utilizzare i mezzi legittimi (come il lavoro, il sacrificio, il risparmio) e decidono di innovare i mezzi, ovvero fanno ricorso a mezzi innovativi, non conformi alle leggi, come i comportamenti devianti o criminali, ad esempio la rapina.
Ritualismo: si intende l’adattamento di chi rinuncia a considerare importanti le mete della società. Gli individui si adattano alla vita che riescono a condurre e restano nell’ambito della legalità, rinunciando così agli obiettivi più alti.
Rinuncia: è possibile parlare del “rinunciatario”, egli rifiuta sia le mete che la società prospetta che i mezzi e, siccome rifiuta i mezzi legali, tende verso comportamenti devianti anche se non criminali. Il rinunciatario ritiene che l’enfatizzazione della società sulle mete di ricchezza e successo, non siano importanti quindi rifiuta di obbedire alle norme, e si isola dalla società. l rinunciatari sono i vagabondi o i senza tetto.
Ribellione: si intende la modalità di adattamento dei rivoluzionari che rifiutano le mete e i mezzi della società ma non per rimanere in un atteggiamento rinunciatario ma perché interessati a creare una nuova società. Vogliono sostituire mete e mezzi con nuove mete e nuovi mezzi. Il rivoluzionario può commettere anche atti di violenza ma per un ideale non per commettere un delitto o violare una norma, non è un semplice criminale.
Dall’anomia mertoniana emerge che devianza e criminalità dipendono da una tensione che esiste nella società tra aspetti culturali e aspetti strutturali. Uno squilibrio che la società prospetta delle mete ma ha una struttura tale che non consente a tutti di raggiungerle e alcuni quindi utilizzano mezzi illegali pur di raggiungere le mete del successo.
Robert Merton studia la sociologia della scienza
Statiche e dinamiche tra scienza ed assetto sociale
Merton ritiene che l’oggetto di ricerca della sociologia della scienza sia l’interdipendenza dinamica fra la scienza, intesa come attività sociale in progresso che determina prodotti culturali e civiltà, e la circostante struttura sociale. In genere gli studiosi, ammettendo la relazione tra scienza e società tendono a considerare esclusivamente l’influenza della scienza sui contesti sociali e non l’aspetto di influenza reciproca o addirittura quello dell’influenza della società sulla scienza.
In realtà, invece, la scelta delle tematiche al centro dell’attenzione degli scienziati è definita, in gran parte, dagli interessi del mondo circostante. Merton intuisce dai suoi studi che l’idea, su cui si fonda la scienza, che la verità sia qualcosa di accertabile razionalmente mediante osservazioni e esperimenti, non nasce dalla scienza, bensì all’interno della cultura più vasta in cui la scienza stessa si inserisce. La scienza è, dunque, un’istituzione sociale.
Grande attenzione viene, quindi, dedicata alla logica della comunità scientifica e alle tensioni che essa può avere con il resto della società. Nella comunità scientifica Robert K. Merton individua un ethos specifico che si fonda sul valore chiave attribuito al dubbio sistematico, sul fatto che ogni affermazione sia verificabile intersoggettivamente, sul dialogo aperto tra gli scienziati, sulla disponibilità universale di ogni ricerca, sulla valutazione di uno scienziato in relazione esclusivamente ai meriti del proprio lavoro. Così la scienza è autenticamente tale solo se ha un’organizzazione che consente al dubbio di esprimersi: finchè questo imperativo etico del dubbio sussiste, la scienza può svilupparsi e prosperare.
Celebre teoria mertoniana, invero non originalissima, sulle profezie che si autoadempiono. Riprendendo una idea di un teorema psicosociale attributo al sociologo William Thomas, egli mostra che se tanti individui prevedono un fatto sociale e si comportano di conseguenza quel fatto si realizza adempiendo alla profezia. Ad esempio, se tanta gente comincia a convincersi che una certa banca è insolvibile quella banca andrà effettivamente in rovina. Non si può dimenticare il concetto di “serendipity”, a cui Merton dedicò un lavoro, “Viaggi e avventure della Serendipity”, nato da un manoscritto tenuto nel cassetto dal 1958, alla presentazione del quale dedicò gli ultimi mesi prima della sua scomparsa nel 2003. Con “serendipity” si descriveva un progresso scientifico o semplicemente conoscitivo rilevante ma inatteso e accidentale pur se frutto di sagacia: quel processo conoscitivo per cui tante volte, nella scienza, mentre si persegue un risultato, se ne ricava un altro a sorpresa, differente, magari più importante. Si manifesta nel testo in questione, in modo emblematico, lo stile di studio e ricerca di questo sociologo, persona che ha saputo combinare l’importanza e il peso delle sue ricerche con un misto di originalità, personalismo, reinvenzione, divertimento nell’approccio alle idee, alla loro evoluzione e alle immagini che possono fissarle nella mente.
Testi Presenti Integrati e Redatti da Roberto Di Molfetta
MATERIALE TRATTO, RIVISTO, CORRETTO ED INTEGRATO IN MODO SISTEMICO DA:
– Università di Pisa
– Francesco Giacomantonio
“in SWIF – Filosofi e Classici” (ora anche disponibile in file pdf all’indirizzo:
http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/archivio/filearchiviati/classici.zip)
– Teorie delle Comunicazioni di Massa,
M.L. DeFleur e S.J. Ball-Rokeach, ed. il Mulino
– Facoltà di Architettura di Genova
– Sapere.it
– PsicologiaInvestigativa.it
– Il Socionauta
Università degli Studi di Roma
– Filarmonici.Org
– Corriere della Sera
– Il Tempo
– Webscuola.it
– Magazine.Enel.It
– StudioPaolaSerena.Com
– InternetBookShop.it
– Utenti.Lycos.it/Solitoni
– Cineforum.bz.it
– Ulpianet.it
Articolo del prof. Rinzivillo su Robert Merton
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