Norbert Elias fu uno dei maggiori sociologi tedeschi di origini ebraiche, nato in Breslavia, il 22 giugno 1897. Dal 1962 al 1964 fu professore presso l’Università Legon di Accra, nel Ghana.
Elias contestava e metteva in discussione la convinzione di Kant che determinate categorie di pensiero (lo spazio, il tempo, la causalità, e alcuni principi morali) non derivassero dall’esperienza ma fossero innate, eterne e universali nella mente umana. Così dalla filosofia passò allo studio della sociologia. Fu il vincitore della prima edizione del Premio Europeo Amalfi per la Sociologia e le Scienze Sociali.
Altra sua opera di rilevanza è “La società di corte”, nella quale, partendo dalla corte di Versailles di Luigi XIV, svolge un’ analisi socio-antropologica dei comportamenti cortigiani, e più in generale dell’ethos nobiliare, individuando nell’etichetta, nei cerimoniali e nella prossemica della quotidianità i tratti di una struttura sociale, in cui è possibile anche rintracciare il riflesso di una gerarchia economica, espressione diretta della volontà e del gradimento del sovrano.
Il pensiero di Elias si espone a configurazioni dinamiche dei rapporti sociali, quei processi che si svolgono nel tempo, l’interdipendenza dei fenomeni analizzati, lo stretto rapporto tra dimensione sociale e dimensione psicologica, tra individuo e la società di cui fa parte, analizzato nel suo processo storico. La sua era una “sociologia storico-processuale”, che analizzava la fondamentale importanza dello sviluppo sociale nel tempo e del suo continuo mutare e divenire storico. Secondo Elias la sociologia si era ridotta ad applicare meccanicamente la metodologia delle scienze naturali ai fenomeni sociali. A questo metodo contrappose la configurazione e il processo.
“Per capire di che cosa si occupa la sociologia, si deve essere in grado innanzitutto di percepire se stessi come una persona tra le altre persone” (Che cos’è la sociologia, 1990). Le strutture, le istituzioni e i ruoli vengono ri-umanizzati da Elias e acquistano un valore storico. Il merito della sociologia processuale consiste, infatti, nel produrre una conoscenza infra-politica, e anche infra-filosofica, della complessità sociale, analizzandone il funzionamento interno e le modificazioni storiche dell’epoca dell’uomo.
“Se pensiamo all’uso dei pronomi personali ‘io’, ‘tu’, ‘noi’, ‘voi’”- osserva Elias-, “ci rendiamo conto che non è che il modo più elementare per esprimere il fatto che ogni uomo è fondamentalmente in rapporto con gli altri e che ogni individuo è essenzialmente un essere sociale”. Elias critica, come modello di homo sociologicus, la concezione dell’homo clausus, alla quale oppone la concezione di homines aperti, caratterizzata da pluralità e processualità.
Pluralità, perché ogni individuo vive di interdipendenze ed è inserito nel collettivo sociale; processualità, per rendere il senso della continua trasformabilità culturale e storica delle unità individuali e collettive e ne indica il mutamento. L’uomo non solo attraversa un processo, ma egli stesso è un processo. La dimensione relazionale è alla base della sociologia.
Elias respinge un’ ipotetica “penetrazione” dell’elemento individuo nell’elemento società o viceversa: società e individuo sono tutt’uno, uno non può esistere senza l’altra. Allo stesso modo Elias non condivide la visione dei mutamenti sociali come fenomeni casuali che arrivano dall’esterno a turbare un sistema sociale ben equilibrato. Elias respinge l’atomismo individualistico e l’olismo sociale, vizi di comprensione della reale pluralità umana, che sempre va colta nella sua struttura profonda e nel suo carattere storico.
La sua opera più importante fu “Il processo di civilizzazione” (1939), scritta nel Regno Unito, dove emigrò nel 1933 e dove visse fino ai primi anni del 1960. Ne “Il Processo di Civilizzazione”, analizzò le fasi e il percorso della civilizzazione nell’Europa Occidentale a partire dal medioevo, basandosi sulla formazione dei ceti sociali e sul monopolio del potere al loro interno.
Il libro esamina due temi specifici: la formazione dello stato moderno e lo sviluppo del controllo e della repressione delle emozioni. Ma ciò che il testo in realtà vuole affrontare è “il nodo più generale del mutamento storico, e il problema di quanto esso sia determinato dal cieco intrecciarsi degli eventi o dalle azioni intenzionali degli uomini”.
Vi è il concetto di configurazione, che si riferisce ad un insieme di relazioni dinamiche tra individui interdipendenti: concetto relazionale e processuale al tempo stesso, che permette di superare la separazione tra individuo e società al centro invece di tutta una parte della sociologia dell’epoca. Elias esamina i due diversi livelli su cui si costruisce il passaggio dalla società cortese cavalleresca a quella “assolutistica-curiale”: il livello sociogenetico, con la formazione di uno stabile monopolio della violenza fisica, e il livello psicogenetico, con la comparsa di uno stabile apparato di autocostrizione individuale (processo sociale di individualizzazione).
Ne risulta un lento e continuo processo di privatizzazione, di scollamento di certi ambiti della vita personale (legati al cibo, al vestiario, al sonno…) sulle basi di comunicazione sociale tra gli uomini. Vi è “una paura socialmente instillata, compaiono e si amplificano il senso di disgusto, di vergogna e di pena”.
La seconda parte del libro, “Le buone maniere”, ci descrive la civiltà come trasformazione del comportamento umano, una trasformazione lenta e inarrestabile che coinvolge ogni singolo aspetto della vita quotidiana, riguardando il comportamento esteriore, il modo di presentarsi in pubblico. Vengono pubblicati saggi e manuali che illustrano il corretto modo di comportarsi, sia per quanto riguarda la tavola (i galatei), la preparazione, la presentazione e il consumo dei cibi, sia per quanto riguarda l’igiene personale, non trascurando praticamente nulla.
A poco a poco si viene a costruire un muro invisibile tra le persone, tra i loro corpi, separandoli e respingendoli, manifestandosi come un sentimento di disgusto alla mera vista di molte funzioni fisiche altrui, oppure come un senso di vergogna al pensiero che le nostre personali funzioni fisiche possano essere esposte alla vista di altri. Si arriva quindi fino al punto di censurare il proprio comportamento non soltanto quando ci si trova in pubblico, ma anche quando ci trova soli e nessuno in realtà può osservarci.
In “Potere e civiltà” è analizzata la genesi sociale della civiltà occidentale a partire dal Medioevo e dalla feudalizzazione, fino al formarsi delle dinastie più potenti e infine degli stati, attraverso il meccanismo della monopolizzazione (monopolio economico, monopolio militare). Il monopolio privato del singolo individuo si socializza, diviene il monopolio di interi strati sociali, un monopolio pubblico, l’organo centrale di uno stato. Allo stesso tempo però si riduce l’ambito decisionale del detentore del monopolio, a causa della maggiore complessità dell’intreccio sociale.
Nel quarto e ultimo capitolo, “Per una teoria della civilizzazione”, Elias analizza il passaggio dalla costrizione sociale all’auto-costrizione, osservando che man mano che il tessuto sociale si va differenziando e diviene sempre più stratificato e complesso, il meccanismo sociogenetico dell’autocontrollo psichico diviene a sua volta più differenziato, più universale e più stabile.
“Le tensioni e le contraddizioni interne agli uomini potranno attenuarsi soltanto se si attenueranno le tensioni tra gli uomini, le contraddizioni insite nella struttura del consorzio umano. Allora non sarà più un’eccezione ma la regola, il fatto che il singolo individuo trovi quell’equilibrio ottimale della sua psiche che spesso evochiamo con parole quali «felicità» e «libertà»: ossia un equilibrio permanente, anzi una piena armonia tra i compiti sociali, l’insieme delle esigenze dovute all’esistenza sociale, da un lato, e le sue personali tendenze ed esigenze, dall’altro.
Soltanto quando la struttura delle relazioni interumane sarà tale, quando la cooperazione tra gli uomini funzionerà in modo che tutti coloro i quali operano nella complessa catena dei compiti comuni possano almeno trovare questo equilibrio: soltanto allora gli uomini potranno davvero proclamare a buon diritto di essere «civili». Ma fino a quel momento, potranno dire nella migliore delle ipotesi che sono inseriti nel processo di civilizzazione. E fino ad allora dovranno ripetersi di continuo: «La civilizzazione non è ancora compiuta: è in divenire”.
All’età di novant’anni scrisse: “Fino a oggi non ho l’impressione di essere capito del tutto. Nei miei scritti ci sono così tanti temi che non vengono ripresi e recepiti. Non ho ancora l’impressione di aver compiuto il mio lavoro”. Passò gli ultimi anni della sua vita a Amsterdam, dove morì il 1° agosto del 1990.
OPERE di Norbert Elias
- Der Übergang vom feudalen zum bürgerlichen Weltbild. Studien zur Geschichte der Philosophie der Manufakturperiode, 1934, (trad. it. La transizione dall’immaginario feudale all’immagine borghese del mondo, 1984);
- Il processo di civilizzazione, 1939;
- La società di Corte, trad. di G. Panzieri,1969;
- Was ist Soziologie?, 1970, (trad. it. Che cos’è la sociologia?, 1990);
- La civiltà delle buone maniere,1982;
- Engagement und Distanzierung, 1983, (trad. it. Coinvolgimento e distacco, 1988);
- Über die Zeit, 1984, (trad. it. Saggio sul tempo, 1986);
- Humana Conditio. Beobachtungen zur Entwicklung der Menschheit am 40. Jahrestag eines Kriegsendes, 1985, (trad. it. Humana Conditio, 1987);
- Die Gesellschaft der Individuen, 1987, (trad. it. La società degli individui, 1990);
- Quest for excitement. Sport and Leisure in the Civilizing Process, 1986, (trad. it. Sport e aggressività, 1989);
- Über die Einsamkeit der Sterbenden in unseren Tagen, 1982, (trad. it. La solitudine del morente, 1985);
- Studien über den Deutschen, 1990;
- I tedeschi. Lotte di potere ed evoluzione dei costumi nei secoli XIX e XX, 1991;
- Mozart. Sociologia di un genio,1992;
- Teoria dei simboli,1998;
- Tappe di una ricerca, 2001;
- Norbert Elias e John L. Scotson, Strategie dell’esclusione, 2004.
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