La popolarità al tempo del Web

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Vi siete mai chiesti che cosa sia la popolarità e che cosa comporti?
La popolarità si subodora fin dalle scuole elementari, e cambia con il tempo, come cambiamo noi.

All’inizio è popolare chi è un duro: i maschietti iniziano a produrre testosterone in quantità, e chi è capace di dimostrare di produrne più degli altri diventa popolare. Il bulletto, quando si è piccoli, è popolare.
Poi il suo appellativo cambia da “figo” ad “arrogante” i bambini diventano uomini e si cresce cambiando le nostre scale di valori.
Ma alcune cose non cambiano: essere popolari è bello e fa comodo.
Al tempo della Rete, in cui tutto è “messo in piazza” ed in cui il seguito raggiungibile è potenzialmente illimitato, la popolarità è diventata (o diventerà a breve) una moneta di scambio.
Il “papà” di Klout, un famoso “metro per la popolarità” molto noto in Rete, dice che nel futuro non useremo più i soldi per pagare, ma sarà la nostra popolarità la moneta di scambio.
Al tempo dei social network allora, quella che chiamiamo popolarità diventa un mestiere e diventa una tecnica vera e propria, una tecnica con la quale raggiungere un certo grado di successo. Questa tecnica si chiama “personal branding”.
Twitter lo amo, si sa: è veloce, informale, agile, simpatico, giocoso, informativo e schifosamente divertente. Il personal branding è “l’arte di vendere se stessi con modalità simili a quanto avviene con altri prodotti commerciali“. Bene, visto che siamo sempre più nell’epoca social, il personal branding è sempre più importante: se dici una cosa e la gente pensa che non sei un cazzaro quella cosa prende forma e divenda un’opinione comune, facendo ragionare e discutere gli altri. Una bella responsabilità.
Alla luce di questo io non capisco bene cosa stia accadendo negli ultimi tempi ma credo che sia dimostrato che il teorema di Rudy Bandiera funziona: “ogni 5 cose che si scrivono 3 devono essere divertenti“.
Usando questa semplice teoria sono diventato “popolare” su Twitter, sono stato consigliato da Wired tra i 50 “influencer” italiani di Twitter appunto, e sono stato intervistato da diversi siti per quanto riguarda, di nuovo, Twitter: tra tutti ringrazio Fabio Germani di T-Mag per la sua divertente intervista “Twitter, il social del momento“.
Come se non bastasse sono stato inserito da Viadeo tra i blogger italiani che curano meglio il proprio personal branding, anche se con una modalità di ricerca basata su un campione non troppo ampio, anche se influente a sua volta.
Alla luce di tutto questo alcune riflessioni:

Il personal branding è come il danaro: più ne hai più te ne arriva addosso. Un meccanismo virtuoso: si parla di te, diventi fico, ti intervistano, quindi si parla di te, quindi diventi più fico. Insomma, un volano che se messo in moto tende ad auto-alimentarsi. E lo dico in senso positivo eh. Twitter è il miglior nuovo media su cui veicolare se stessi: Facebook è troppo POP, Linkedin troppo professionale, FriendFeed troppo di nicchia e gli altri troppo sconosciuti. Twitter è quindi fico. La gente ha voglia di divertirsi. Quando dicevo tempo fa che la comunicazione su Twitter deve essere divertente alcuni storgevano il naso, non concependo una comunicazione aziendale fuori dagli schemi, ma evidentemente è così. Voi seguireste qualcuno che parla sempre e solo seriamente?

Tratto ed integrato dal blog di Rudy Bandiera:
http://www.rudybandiera.com







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Roberto Di Molfetta
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Roberto Di Molfetta, 1974, nativo di Salerno, da madre romana e padre di Ceccano (Frosinone), ha avuto parecchie città di residenza, ma deve la sua formazione soprattutto al periodo ventennale trascorso nel centro della Capitale. Laureato in Comunicazione alla Sapienza di Roma, si occupa ormai da anni di Web Marketing, ottimizzazione per i motori di ricerca e creazione di siti Web. Dal 2015 ha iniziato a pubblicare libri su vari argomenti: controinformazione, informatica, psicologia, temi politici. Contatti: [email protected] Sito Web: www.robertodimolfetta.it