Nel processo di sviluppo delle scienze sociali dopo la seconda Guerra Mondiale, si distinguono in Francia due periodi: il primo che va dalla Liberazione alla fine degli anni ’50 del XX secolo, dove lo sviluppo delle scienze sociali non avvenne per volontà politica o per una domanda sociale, mentre il secondo (anni ’60 dello stesso secolo) lo sviluppo delle discipline sociologiche dipese dalla richiesta che giungeva dalla società.
Lo sforzo principale si era inizialmente concentrato sulla creazione di nuovi enti di ricerca e sull’individuazione di spazi d’insegnamento fuori dell’università, tutto legato ad iniziative e strategie individuali: nacquero così nel 1945 l’ “Istituto nazionale di studi demografici”, l’ “Istituto di studi politici” il “Centro Studi Sociologici”, l’ “Istituto nazionale di statistica e di studi economici” ed altri ancora.
Tutto ciò in vista del ruolo dello Stato restaurato che divenne attore economico a tutti gli effetti, nonché si mostrò come necessitante di maturare delle conoscenze economiche per affrontare le scelte postbelliche. L’idea era quella della nascita di una nuova società. Altro impulso arrivò dalle organizzazioni internazionali, in primo luogo dall’UNESCO. La nascita di quest’organismo richiese il coinvolgimento di specialisti in scienze sociali per l’elaborazione di nuovi programmi di ricerca. Inoltre dopo la liberazione molti testi misero in risalto il ritardo delle scienze sociali in Francia, evidenziando le pericolose conseguenze che ne sarebbero potute derivare per l’avvenire del paese.
Jean Stoetzel nel 1946 concludeva così un articolo dedicato al rapporto fra sociologia e demografia: “ La scuola di Chicago ha reso un grosso servizio per la chiarificazione del rapporto fra queste due discipline: è tempo di colmare il nostro ritardo unendo gli sforzi di demografi e sociologi”. Nel 1954 l’ “Associazione Marc Bloch” reclamava per le scienze sociali le stesse prerogative e le stesse responsabilità che sono date alle scienze tradizionali. Dopo la Liberazione i ricercatori francesi si erano convinti che le scienze sociali avevano una nuova patria: gli Stati Uniti. L’apprendimento di tecniche e metodi di ricerca per sociologi e psicologi passava attraverso un soggiorno nei campus universitari di quel paese, grazie anche a borse di studio messe a disposizione dalla Fondazione Ford e Rockfeller.
La situazione delle scienze sociali a metà degli anni ’50 del secolo XX non è molto diversa rispetto a quella d’inizio secolo : da un punto di vista istituzionale si contano solo quattro cattedre di sociologia, tre di storia economica, tre di etnologia, nessuna di demografia e una di statistica. Tra le nuove istituzioni si contano una cinquantina di centri, fra cui molti istituti universitari dotati di scarsi mezzi tra cui il “Centre d’études sociologiques” dedicato alla ricerca sociale che si propone di promuovere e dirigere ricerche nei diversi settori della sociologia, formare ricercatori, organizzare inchieste in Francia e all’estero, cooperare con sociologi stranieri, organizzare convegni nazionali e internazionali.
Alla fine degli anni ’50 del secolo scorso lo sviluppo delle scienze sociali emergeva da una duplice causa: la domanda sociale (proveniente da attori sociali diversi ossia sindacati, chiesa, associazioni) e la crisi della crescita del sistema d’insegnamento e di ricerca. Le scienze sociali si videro assegnato il compito di analizzare gli ostacoli e i freni alla modernizzazione.
In un certo senso, la specializzazione allo studio del mutamento sociale, che aveva costituito il principale obiettivo della sociologia per decenni, prendeva corpo nella trasformazione dell’oggetto di studi sociologici e nella indagine dei processi di modernizzazione. Lo studio della crisi della società era ora incorporato nella crisi generazionale della sociologia accademica.
All’inizio degli anni ’60 del XX secolo lo sviluppo delle scienze sociali ebbe un’accelerazione: aumentarono rapidamente i ricercatori, il volume della produzione intellettuale, il numero dei laboratori e dei gruppi di ricerca. L’interesse di nuovi soggetti, Stato, imprese, sindacati di ricercatori per le scienze sociali permise di sviluppare una nuova politica ossia un insieme di orientamenti, di stimoli e realizzazioni, provenienti da attori collettivi al massimo livello che miravano ad un rapido sviluppo di queste.
Fra il 1946 e il 1958 soprattutto Stoetzel torna più volte addirittura sul suo rifiuto della tradizione durkheimiana. Egli sostiene che nel 1946 i sociologi non hanno più l’obiettivo di dimostrare la legittimità della loro impresa. I durkheimiani, nella loro volontà di definire l’oggetto della sociologia, erano andati oltre, non hanno solo cercato di dimostrare che la sociologia aveva un oggetto ma hanno preteso di determinare le caratteristiche di questo oggetto, limitando il suo campo d’azione.
Cercando di staccarsi dalla filosofia, la sociologia durkheimiana si è intrappolata sostituendo una filosofia sociale a un’altra. Anche la ricerca ossessiva della chiave dei processi sociali, attraverso la nozione di coscienza collettiva, ha impedito il progresso scientifico della disciplina: “Durkheim ha inventato una soluzione sociologica sterile e paralizzante; bisogna domandarsi se non sia il caso di mettere al riparo i giovani ricercatori dalla sua influenza”.
Vicino a Bouglé, uno degli eredi del durkheimismo, sui luoghi stessi dove Durkheim aveva iniziato ad enunciare il suo programma ( Bordeaux ), Stoetzel chiese che la sociologia durkheimiana non fosse più insegnata. La dimensione metodologica del durkheimismo era per questi un tradimento dell’ideale scientifico. Riguardo alle Regole del metodo sociologico, commentava: “Durkheim si è accontentato di scrivere un’opera piccola, inutile per coloro che vorranno intraprendere ricerche”.
Nell’ottobre del 1959, intervenendo a fianco di Lazarsfeld e Koening a Stresa sul tema “Lo sviluppo dei metodi sociologici”, Stoetzel rinnovò le sue dure critiche al durkheimismo. Era venuto il momento di considerare l’osservazione come il fondamento di tutto il sapere e stabilire che l’oggetto della scienza era l’accertamento dei fatti. Questi sosteneva dunque un modello di sociologia empirica; egli fu portatore di una sorta di rivoluzione scientifica dovuta all’utilizzo del sondaggio d’opinione come metodo d’indagine che contribuì ad introdurre in varie istituzioni di rilievo tra cui il “Service National de Statistique”.
Stoetzel fece parte tra il 1937 e il 1939 di una generazione di sociologi nati intorno al gruppo di Bouglè, al “Centre de documentation social” e presso l’ “École Normale Superieure” che avevano in comune il disinteresse verso il durkheimismo e la volontà di rompere con la generazione precedente rifiutandone l’eredità intellettuale. Questi più di altri contribuì ad aprire alla sociologia americana. Grazie a soggiorni esteri, in particolare negli Stati Uniti, fece esperienza di sociologia empirica, scoprì il fascino della psicologia sociale e dei sondaggi d’opinione che cercò di diffondere in Europa.
Nel 1963 figurava, insieme a Paul Lazarsfeld, tra i principali ispiratori del “Centre europèen de coordination de recherce et de documentation en sciences sociales” di Vienna. Tale contatto portò poi, all’inizio degli anni ’60, ad un invito rivolto a Paul Felix Lazarsfeld, che divenne professore associato alla Sorbona : questa scelta ebbe un notevole impatto sulla nuova generazione di giovani ricercatori francesi che operano ancora oggi a distanza di decenni.
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