Ridiscorrendo del Methodenstreit

max weber - metodologia




Condividi:

La riflessione sul Primo dibattito metodologico in Germania agli inizi del secolo scorso, sembra parzialmente assopita nella storia del pensiero sociologico e, comunque, suscita un certo ritorno di interesse soprattutto quando si discute dello storicismo tedesco e dell’epistemologia weberiana. Diciamo subito che, proprio riguardo a quest’ultima, il mondo anglosassone ha glissato e ha considerato un tesoro geloso soltanto la produzione autoctona; infatti, i Saggi metodologici di Max Weber sono stati tradotti negli anni ’40 del XX secolo e non sono mai passati in circolazione né tra i filosofi della scienza né tra gli storici del pensiero scientifico.

Sovrastati dal falsificazionismo popperiano sono quasi scomparsi dall’orizzonte degli interessi scientifici di autori che avrebbero, invece, tentato di recuperarli nonché si sarebbero spesi per diffonderli nel dibattito epistemologico, che pur c’è stato e che ancora stenta a occuparsi della sociologia come scienza. Ma il problema è anche quello per cui anche gli storici del pensiero sociologico hanno in un certo senso lasciato da parte l’interesse a riprendere in mano questo dibattito in chiave di storia della scienza, cioè ancora, portando alla luce quelle implicazioni del pensiero di Max Weber che invece forniscono molti spunti al fine di determinare un profilo scientifico della disciplina. Si tratterebbe di spiegare, infine, se Max Weber può essere annoverato – o meno –  tra gli autori che danno un contributo alla storia delle materie filosofiche e scientifiche, così e come sembra dall’esame dei suoi scritti ‘di periodo’ sulle scienze storico-sociali. Un altro problema sarebbe quello di fare ripartire il Methodenstreit da una risposta congiunta di autori importanti al problema della conoscenza imposto da Kant.

Come è noto, Kant si incarica nella critica della ragione pura di definire cosa posso sapere con certezza; nella critica della ragione pratica di definire che cosa posso fare, il che pone il problema etico dell’agire e di un concetto di dovere; nella critica del giudizio, definisce che cosa posso sperare, il che rimanda al problema dell’esistenza o meno di Dio, stante il fatto che possiamo soltanto sperare che egli esista, senza poterlo in definitiva provare. Per Kant la metafisica risulta immanente alla ragione umana, laddove egli afferma che la conoscenza è sintetica, cioè è la sintesi tra la materia del conoscere ( oggetto) e la forma del conoscere (soggetto). Peraltro, va detto che le forme del conoscere sono innate e sono uguali per tutti, essendo indicate da Kant nello spazio, nel tempo e nella causalità.

Attraverso queste tre forme si possono dare le leggi alla natura, essendo la natura conosciuta soltanto in modo fenomenico. E, in sintesi, esistono due gradi possibili della conoscenza: la conoscenza sensibile ( materia – percezioni – + la forma) e cioè le intuizioni sensibili; e la conoscenza intellettualistica ( materia – intuizioni sensibili – + forme –categorie – = concetti).

In realtà il ruolo del kantismo nella riflessione epistemologica di tutto il Novecento è stato abbastanza rilevante, soprattutto se pensiamo al significato filosofico della scienza moderna. Ciò che autori come Dilthey, Windelband, Rickert e Max Weber ritrovano nei loro interessi è il risultato della risposta congiunta all’ assimilazione critica di una metodologia trascendentale, che si rende come condizione indispensabile per l’esperienza.

In quanto ricerca intorno alle condizioni del sapere, questa metodologia è lo stesso trascendente, cioè va oltre l’esperienza, laddove, come è noto, l’a priori viene prima dell’esperienza stessa e non deriva da questa, il puro risulta non mescolato con l’esperienza e la dialettica risulta essere la ragione che vuole conoscere se stessa attraverso dei ragionamenti che possono risultare privi di fondamento.

In tutto ciò, si ricorda che l’intelletto va considerato sempre come la facoltà della conoscenza scientifica che ci conduce al mondo fenomenico, laddove quest’ultimo rende possibile l’analisi e applicando certe categorie, funziona per concetti. Il confronto con tali assunzioni metodologiche si confronta con la separazione delle scienze in ‘scienze dello spirito’ e ‘scienze della natura’, soprattutto quando si definisce l’oggetto di studio delle scienze sociali, tenute prigioniere, come la storiografia, nelle scienze del primo tipo e, dinanzi al fatto che le scienze della natura non possiedono un mondo interno che può proporsi in contrasto, appunto, con l’esperienza vissuta.

L’idea romantica di Wilhelm Dilthey si ritrova anche nella determinazione kantiana della/nella scoperta dell’intuizione.




Il criticismo kantiano può definirsi come assorbito nella determinazione degli autori che partecipano al Methodenstreit, nel senso che questi ultimi fanno proprio l’uso della ragione che critica la ragione medesima, laddove la ragione può evidenziare dei limiti e delle possibilità nei quali riconoscersi ( una vera e propria possibilità di se stessa).

Come è noto, peraltro, le possibilità della mente umana sono definite da Kant come fenomeno, mentre ciò che risiede oltre quelle possibilità è definito come noumeno ( da nous, cioè intelletto). Ma Kant ha dinanzi a sé delle opposizioni, le quali risultano nell’elaborazione delle idee di chi si occupa di definire il metodo per le scienze sociali.
E cioè, il dogmatismo, cioè la metafisica, che vuol dire identificare in maniera scontata ciò che non è; e lo scetticismo, cioè il dubbio che si possa arrivare ad una conoscenza certa, così e come vantato dagli empiristi più convinti. Max Weber tende a risolvere il dualismo del mondo conoscitivo, indicando le scelte che possiamo compiere al di là della affermazione di un indirizzo che ci è fornito dalla ragione.

E’ in funzione di questa scelta che il mondo delle scienze storiche e culturali diviene possibile, al cospetto di un complesso di cause e concause che definiscono i fenomeni storici e sociali. Weber, di fatto, risolve in pieno il dualismo tra storiografia e sociologia,  tra ‘scienze dello spirito’ e ‘scienze della cultura’ indicando l’agire sociale come oggetto specifico della scienza sociologica in un contesto definito come ‘cultura’. La risposta a Kant per ciò che concerne la conoscenza del mondo oggettivo e il definire il ruolo del soggetto, al di là della ricerca della verità, che impone di essere una soltanto e riferibile ad ogni libero intelletto che deve poterla comprendere.

[amazon_link asins=’8842075493,8842053317,8817168440,8849800770,B06Y5V2FFV’ template=’ProductAd’ store=’fratotsit-21′ marketplace=’IT’ link_id=’f90dbb89-3680-11e7-b3ca-c598ba2bb5ec’]

Guglielmo Rinzivillo
Condividi:



Written by 

Guglielmo Rinzivillo è ricercatore confermato e professore aggregato presso il Dipartimento di Scienze Sociali ed Economiche alla SAPIENZA Università di Roma. Si occupa di storia della sociologia e di storia della scienza. Ha condotto ricerche alla “London School of Economics and Political Science” alla University College di Londra, alla University of London e in alcuni Istituti per le Social Sciences dell’Universita’ di Cambridge, in Austria a Salisburgo per un breve soggiorno di studio presso l’Institut fur Soziologie della Leopold-Franzens -Universitat di Innsbruck, in Irlanda presso l'Università di Cork e in Slovenia. E' autore di molti saggi e volumi sullo sviluppo delle scienze sociali in Italia. E' membro della European Society of History of Science.