La celiachia e il suo impatto nella società

La celiachia e il suo impatto nella società
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La celiachia è una malattia autoimmune scatenata dall’ingestione di glutine. Si tratta principalmente di un’infiammazione cronica dell’intestino tenue e può manifestarsi in individui di tutte le età che sono geneticamente predisposti. Nello specifico è possibile fae riferimento a molti altri sintomi sia intestinali che extra-intestinali che consentono di arrivare anche alle diagnosi più difficili. Infatti in molto casi, quando i sintomi sono poco chiari o quando non rispecchiano le linee guida dei protocolli da seguire per la diagnosi, quest’ultima diventa una strada tortuosa. Attualmente l’unica via percorribile per fronteggiare la celiachia è la dieta senza glutine, quindi eliminare completamente dalla propria alimentazione e per tutta la vita il glutine. Questo porta a conseguenze che si ripercuotono non solo sull’alimentazione del celiaco, ma anche sulle sue relazioni sociali e sulla sua vita nella società.

L’alimentazione e il cibo nella sociologia

In sociologia l’alimentazione non è stata analizzata come un bisogno fisiologico da soddisfare piuttosto è stata studiata da un punto di vista culturale e relazionale. Difatti il cibo e l’alimentazione sono visti, in ambito sociologico, come identità sociale poiché quello che si mangia tende a confermare l’appartenenza ad un certo gruppo. Il cibo, inoltre, rispecchia la storia e le tradizioni di una società trasmettendo la sua cultura nel corso delle diverse generazioni. Ancora, il cibo è un momento di condivisione: condividere spazio, tempo e allegria con le persone che si amano. Inoltre è un momento di convivialità che permette di superare barriere sociali e geografiche e di rafforzare i legami, così come sosteneva l’antropologa Mary Douglas. Il cibo può diventare anche uno strumento per definire lo status sociale di un individuo e la sua disponibilità economica; in questo caso l’alimentazione viene utilizzata come strumento per mettere in risalto stili di vita e differenze di classe. Insomma, la sociologia analizza questi e altri aspetti sociali dell’alimentazione che vanno ben oltre il semplice nutrimento del corpo.

Alcuni autori della sociologia dell’alimentazione

Autori classici della sociologia come Èmile DurKheim, Georg Simmel, Friedrich Engels e Norbert Elias avevano già dedicato una particolare attenzione al cibo e alla sua importanza nel mondo sociale; è verso gli anni settanta, però, che l’alimentazione diventa un vero e proprio ambito per lo studio della società.

Pierre Bourdieu nella sua opera “La distinzione. Critica sociale del gusto” ha messo in evidenza il concetto del gusto come un prodotto sociale e culturale; dunque le scelte alimentari rafforzano la distinzione di classe e la costruzione dell’identità di classe. Allo stesso modo Mary Douglas ha dimostrato come le abitudini alimentari sono legate a un sistema di classificazione della società, analizzando le categorie sociali del cibo.

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Claude Levi-Strauss con le sue opere “ Il crudo e il cotto” e “ Le buone maniere a tavola” ha dato un importante contributo a questo ambito di studio. Attraverso il suo pensiero strutturalista ha analizzato il cibo, la sua preparazione e la sua cottura come un linguaggio attraverso cui le società esprimono la loro cultura e le proprie tradizioni. Ha messo a confronto usanze e comportamenti della nostra cultura con quelli di culture lontane nel tempo e nello spazio e ha dimostrato come il modo di stare a tavola e la cottura dei cibi rappresentano un mezzo di espressione delle strutture mentali di una società.

Altri autori che hanno dedicato attenzione al cibo e all’alimentazione sono Norbert Elias che analizzando il processo di civilizzazione ha evidenziato come il cibo è simbolo di identità e appartenenza e soprattutto come le abitudini alimentari si siano evolute nel tempo. Inoltre le regole e le abitudini alimentari, che possono sembrare del tutto naturali, sono state interiorizzate nel processo di civilizzazione e trasmesse come una norma sociale. Quindi per ciascun individuo diventano comportamenti naturali influenzati dal contesto in cui vivono.

Jean-Pierre Poulain con la sua “Alimentazione, cultura e società” mette in evidenza l’interconnessione tra alimentazione, cultura e società. Infatti il cibo è visto come uno strumento di identità culturale, di espressione sociale e come strumento per creare legami e trasmettere le tradizioni da una generazione all’altra.

Infine, in tempi più recenti, è possibile menzionare anche l’analisi svolta da Lucio Meglio sul cibo e l’alimentazione. Il cibo è considerato come un vero e proprio “fatto sociale” che corrisponde a una rappresentazione collettiva. Ha analizzato il cibo nei suoi aspetti sociali e culturali, mettendo in risalto sia le relazioni con le emozioni individuali e simboliche, sia le caratteristiche del cibo come bene di consumo e elemento economico e identitario.

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La celiachia come malattia sociale

La celiachia è stata spesso analizzata da un punto di vista sociale, andando oltre gli aspetti clinici della malattia. Dopo la diagnosi, il paziente deve seguire una rigorosa dieta senza glutine che attualmente risulta essere l’unico trattamento disponibile. Questa limitazione, però, può avere un impatto negativo sulle condizioni psicologiche, sulle relazioni sociali e più in generale sulla qualità della vita della persona celiaca.

La celiachia ha un grande impatto sociale influenzando la vita quotidiana dei celiaci attraverso restrizioni dietetiche, difficoltà nelle relazioni sociali, costi economici elevati, problemi come ansia e depressione. Innanzitutto, le persone celiache si ritrovano in uno stato di isolamento e discriminazione in alcune situazioni dove il cibo diventa il protagonista, come ad esempio feste, pasti fuori casa, inviti a cena. Inoltre, viaggiare e mangiare fuori casa richiede una certa pianificazione e la necessità di comunicare le proprie esigenze in modo chiaro. Ancora, la preoccupazione per un’esposizione, anche minima, al glutine può aumentare ansia e stress e quindi peggiorare il benessere psicologico del paziente. Un ulteriore impatto sociale si estende all’aspetto economico. I costi più elevati dei prodotti senza glutine può gravare maggiormente sulla situazione economica delle famiglie dei celiaci. Per questo la celiachia viene definita come malattia sociale, per il suo impatto non solo sulla salute fisica ma anche sulla vita sociale e relazionale della persona.

Il modello ESA di Corposanto

Gli studi di Cleto Corposanto, docente di sociologia all’università di Catanzaro, evidenziano come l’adozione di una dieta senza glutine comporta un “danno sociale” che limita alcune relazioni sociali soprattutto fuori casa. Corposanto parla, infatti, di una riduzione del “capitale sociale” ovvero una riduzione della qualità e della quantità delle relazioni sociali che un individuo può avere.

Il modello ESA descritto da Corposanto nasce dall’analisi del primo modello interpretativo integrato della salute di Twaddle del 1968. In questo modello la malattia è considerata “disease” cioè come un malfunzionamento organico oggettivo riconosciuto dal punto di vista medico; la malattia è considerata anche come “illness” cioè come lo stato di sofferenza generale che colpisce la persona affetta da qualsiasi disease. Il terzo elemento di questa TRIADE è la “sickness” ovvero lo status di malato che viene assegnato dalla società a chi ha qualche disease. Questa TRIADE è stata rivisitata, nel 2007, dal sociologo Antonio Maturo rinominandola PENTA per aver aggiunto due dimensioni ottenute dallo sdoppiamento di illness e sickness. Queste due dimensioni prendono il nome di “illness esperita” e “sickscape” e mirano a cogliere il senso che la comunità attribuisce alla sofferenza individuale legata alla malattia e al ruolo sociale dell’essere malato. Nelle varie ricerche di Corposanto è stato evidenziato però, che le cinque dimensioni del modello Penta non riescono a cogliere un aspetto molto importante per chi soffre di celiachia: la riduzione del capitale sociale. Insomma non riesce a cogliere la percezione di perdita della capacità relazionale legata a una malattia. Da questa esigenza nasce il modello ESA con l’aggiunta di una sesta dimensione chiamata “sonetness”. Questa dimensione permette di cogliere tutti gli aspetti connessi a uno stato di malattia, compreso il danno sociale che si concretizza nella perdita di capitale relazionale e sociale legato a una condizione di malattia. Dunque, il modello ESA riesce a evidenziare come la celiachia possa influire notevolmente sulla vita socio-relazionale dei celiaci, modificando le relazioni familiari e amicali. Questi studi mettono, inoltre, in risalto la necessità di coinvolgere tutte quelle scienze e attori sociali coinvolti nel mondo della celiachia, per realizzare un approccio interdisciplinare capace di rispondere ad esigenze di malessere e prevenire situazioni di disagio.

Legge n.123 del 4 luglio 2005

In Italia la celiachia è stata riconosciuta come malattia sociale dalla legge n. 123 del 4 luglio 2005. Questa legge riconosce una serie di diritti ai celiaci come quello di ricevere pasti senza glutine nelle mense delle strutture pubbliche come la scuola e gli ospedali. Il Servizio Sanitario Nazionale provvede, attraverso le ASL, all’erogazione di buoni spesa per l’acquisto di prodotti alimentari senza glutine con importi che variano in base all’età e al genere del celiaco; queste differenze sono legate al diverso fabbisogno calorico previsto per le diverse fasce d’età. La legge 123/2005 prevede anche l’esonero dal ticket sanitario: i pazienti celiaci sono esentati dal pagamento del ticket per le prestazioni sanitarie legate alla diagnosi e al monitoraggio della malattia. Inoltre, questa legge prevede l’obbligo per le ASL di inserire moduli informativi sulla celiachia nei corsi di formazione per ristoratori e albergatori, promuovendo così la preparazione sicura di pasti senza glutine e l’inclusione dei celiaci nella vita sociale.

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Lo scopo principale della legge 123/2005 è quello di ridurre il disagio sociale ed economico causato dalla celiachia e cercare di garantire ai celiaci di condurre una vita normale e avere accesso a servizi e pasti sicuri. Aspira a raggiungere il loro inserimento nella vita sociale, lavorativa e scolastica.

Valeria Marino
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Nata a Napoli nel 1985. Dopo i primi studi sulle materie umanistiche e sociali al liceo socio-psico-pedagogico, consegue nel 2009 una laurea triennale in Sociologia presso la facoltà Federico II di Napoli. Svolge il tirocinio universitario presso l'azienda sanitaria locale Napoli 1 somministrando questionari ai pazienti oncologici del P. O. Ascalesi Napoli con successiva analisi statistica dei dati. Nel 2012 consegua la laurea magistrale in Politiche sociali e del territorio. Spesso coinvolta in contesti lavorativi e di volontariato relativi ai bambini e al sociale.