Posso, nel mio argomentare, creare tre distinte istanze nel comprendere come gli individui si pongono rispetto al mondo reale e ideale che li circonda.
La prima è la comprensione: questo livello del pensiero è raggiungibile dai più e presuppone il mero passivo atto di comprendere, appunto, l’idea espressa da altri riguardo ad un oggetto di conoscenza. In verità, quasi tutti gli esseri umani sono dotati del necessario intelletto alla nascita per arrivare, nel corso della propria vita, a comprendere le idee degli altri esseri umani.
Fattori psicologici, d’età, ambientali, di studi effettuati possono enormemente influenzare questa capacità di comprensione, al punto da determinarne notevolmente la carenza o l’estremo potenziamento.
Tutto comunque impedisce di considerare la mera comprensione delle idee altrui, quando specificatamente espresse, una attività difficile, onerosa intellettualmente, in quanto con un’intelligenza nella media o anche leggermente al di sotto della media l’uomo comune riesce ad arrivare a capire i suoi simili.
Un livello superiore di sapienza, è la conoscenza, quando la rete qualitativa e quantitativa dei legami tra nozioni acquisite, percezioni, ideazione ed esperienza vissuta permette di effettuare il salto di qualità di avere già in sé le giuste idee riguardo al mondo.
E’ ovvio che la comprensione presuppone cultura ed esperienza, ma al livello della conoscenza non abbiamo la mera risposta ad uno stimolo esterno, con cui risuoniamo in maniera simpatica soprattutto per sentire profondo, ma l’individuo possiede gli strumenti cognitivi per guidare il proprio pensiero e le proprie azioni in modo autonomo, per trarre delle analisi, delle conclusioni e dei comportamenti da quanto ha compreso, in maniera indipendente dagli altri.
Nella comprensione seguiamo il pensiero altrui, nella conoscenza siamo autonomi, abbiamo una struttura informativa, creativa e comportamentale che sa dove andare, sa quali passi compiere, in un tutt’uno di comprensione delle idee e di messa in pratica nell’attività ideativa e pratica delle stesse idee che permette uno sviluppo, un comportamento consequenziale anche di fronte ad un futuro scenario, ad imprevisti, a realtà prima ignote.
Nel livello ancora superiore, quello della saggezza, posso dire di non poter pienamente creare una definizione univoca, un quadro chiaro e assoluto.
La saggezza è piuttosto una relativa e storicamente determinata conoscenza del mondo, che però permette di progettare il mondo, di costruire il futuro in modo tale da guidare il pensiero altrui, in modo proficuo, compatibile con i propri valori per il benessere generale. All’autonomia si sostituisce la leadership intellettuale, la capacità di plasmare uomini, gruppi, società in base alle proprie linee guida di pensiero. Uomini come le persone comuni capiscono, persone con studi e impegno intellettuale maggiore oppure con esperienze ricche, vissute con raziocinio e sensibilità conoscono, mentre i saggi costituiscono una minoranza; una minoranza che permette alla società e al periodo storico di riferimento di fare un salto di qualità, di progredire, alle volte per il semplice contatto interpersonale.
Lontani spesso dal pensiero comune, i saggi sanno costruirsi il loro pensiero non come reazione all’esperienza solamente, ma come nuova istanza storica, passo ulteriore verso la saggezza umana globale, verso il progredire dei popoli.
Normalmente, quando un saggio riesce entrare in sintonia con la sua comunità di riferimento, nasce un’attesa, una produttiva messa in pratica della saggezza rivelata che permette a quest’uomo di farsi portavoce di se stesso ed insieme di quelle direttive storiche che egli comprende essere necessarie, se non le crea egli stesso dal nulla, per il benessere generale. In sostanza grazie alla saggezza i pochi saggi arrivano a chi può comprenderli, la massa che non ha problemi di sviluppo mentale e culturale, grazie a chi, tramite la conoscenza, amplifica le idee e le azioni motivate di questi pochi uomini.
Un minoranza, quindi può cambiare una società, perché nella società stessa vi sono le forze intellettuali, soprattutto nelle democrazie maggiormente compiute, per giungere ad una diffusione piramidale della saggezza di pochi uomini alla popolazione, tramite chi conosce il loro pensiero, le loro azioni.
Così i grandi del passato hanno raggiunto la diffusione del loro essere all’intera umanità, quell’istituzionalizzazione che consiste nel “processo attraverso il quale determinati valori, pratiche ed orientamenti si strutturano come costruzioni di senso solide e generalmente accettate; essi perdono in larga parte il loro carattere di dinamicità, acquisendo una forma stabile e generalmente riconosciuta”[1].
Il cammino non è ultimato, a meno che, come scriveva Herbert Marcuse ne “L’uomo ad una dimensione”, le società non arrivino ad essere bloccate, cioè a non accettare, nella sostanza, la critica, l’opposizione interna allo status quo, anche nell’apparente possibilità per chiunque, aggiungo, di comunicare anche con strumenti moderni come un tweet o un post in blog o di votare in apparenza liberi.
1) http://it.wikipedia.org/wiki/Istituzionalizzazione
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