Leggendo, un dato numerico ha colpito la mia immaginazione e insieme mi ha fatto riflettere: nell’800, come prevedibile in base a quello che già sapevamo, la giornata lavorativa media era costituita da 84 ore di lavoro settimanali.
Se paragoniamo questa somma di ore a quella odierno, vediamo che anche chi è massimamente impegnato nella propria attività lavorativa, dispone di un’enormità di tempo libero in più dell’uomo del popolo di due secoli fa.
Parliamo di 6-8 ore in più di lavoro al giorno, praticamente quei poveri uomini dei nostri antenati, ma non i nobili né il clero, avevano solo il tempo di mangiare e dormire (poco).
Se aggiungiamo che i divertimenti che offriva un piccolo centro di provincia, un villaggio, all’uomo ottocentesco, capiamo bene che vivere era consumarsi in un lavoro sfiancante. Per trovare una condizione di lavoro perpetuo, a parte i nuovi schiavi del lavoro nero o schivile, come gli immigrati per il caporalato nel Meridione, dobbiamo portare in rilievo la figura della casalinga a tempo pieno.
Questa figura sociale, lungi dall’essere scomparsa, rappresenta il duro lavoro, ma soprattutto continuo: dal momento del risveglio, fino al dopocena inoltrato, molte delle richieste di assistenza e lavoro domestico passano per questa donna che incarna l’antica patriarcalità nei suoi ripetuti gesti di cura dei figli, dei nipoti e del consorte.
Io abito in una zona della Ciociaria, dove è evidente che la parità tra donne e uomini, tra donne che lavorano e casalinghe è in realtà una condizione assolutamente marginale.
La vera stakanovista della nostra era è ancora, tuttora, la mamma o nonna impegnata nei faticosi lavori domestici, soprattutto oberata dalle mille richieste che gli altri familiari pongono in essere nel corso della settimana. Verrebbe da richiedere una festa nazionale delle casalinghe, accanto a quella delle donne, per quanto queste persone del nostro tempo ricordano, con le dovute proporzioni di tempi e modi, gli antichi (relativamente) operai e contadini del secolo XIX.
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