Il vero partito dei lavoratori

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Ora, ciò che affermo io con vigore è che la maledizione contemporanea delle classi lavoratrici sia proprio l’estremismo del comunismo, che combattuto storicamente perché appunto estremo ed antidemocratico come piattaforma ideologica di programma, rifiutato storicamente perché produttore nel suo estremismo di massacri, purghe, genocidi, violazioni enormi dei diritti umani, ha impedito che fosse centrale per chi lavora senza avere la proprietà dei mezzi di produzione, per chi deve vivere solo del proprio lavoro diretto, la costituzione di forti partiti e movimenti culturali democratici ma fermi nel sostenere riformismo e redistribuzione del reddito in senso egalitario.

Non bisogna essere dei profondi conoscitori della pratica marxista per capire che gli sbagli dell’estremismo comunista hanno impedito una linea storica unica e continua nel difendere civilmente, democraticamente, in sede giuridica, politica, e culturale, i diritti sacrosanti dei lavoratori, così come considerati da intellettuali e dalle stesse evidenze storiche degli squilibri nel reddito e nella rappresentanza di interessi legittimi in difesa del posto di lavoro, della sicurezza, dell’assistenza, delle assicurazioni ed in generale del benessere di chi, per condizioni socioeconomiche, nasce come soggetto sociale più debole.

Perciò posso vedere positivamente la forza di un partito che ponga il lavoro e non la finanza al centro dell’interesse ideale e programmatico, ma senza dimenticare che è necessario, dopo guerre mondiali e milioni di morti in nome di dittature barbare, rosse o nere, obliare la violenza e la repressione come metodo e accantonare dittatura del proletariato e uguaglianza forzosa in cambio di democrazia, pari diritti, difesa dei deboli e dei lavoratori.

Viene da pensare a lavoratori costretti al licenziamento senza nessuna trattativa, alla barista cacciata dopo essere stata sfruttata in nero per anni senza contributi e con uno stipendio da fame, alla mancanza di rispetto della sicurezza nei cantieri di tutta Italia: per situazioni come queste non è utile un partito radical-chic, salottiero e parlamentare solamente, ma un forte partito di opposizione non al governo ma a tutte le istanze di riduzione in minorità di chi già parte svantaggiato per dover vivere senza capitali del proprio lavoro, della propria professionalità. Inoltre c’è da considerare che quando Marx parlava di dittatura giusta dei proletari includeva contadini e operai. Nei secoli, il profilo statistico dei lavoratori è cambiato. Ora, ad essere preponderante è il terziario, con milioni di dipendenti in uffici e studi professionali che si attendono giustamente che un serio partito dei lavoratori tuteli anche il loro status, perché il precariato è un male oscuro e sottovalutato dalla politica nella prassi legislativa, addirittura visto con favore verso la flessibilità, perché è giusto che la guerra non deve essere da poveri o tra ceti medi e poveri ma riguardi da una parte che tutela i lavoratori e i lavoratori, dall’altra chi vorrebbe che con dinamiche ottocentesche si possa ancora impedire di sentirsi uomini che vivono dignitosamente, con le giuste tutele, in un paese occidentale ricco e sviluppato come la nostra nazione. Per questo serve accantonare Marx come obsoleto, con la sua violenza ideologica, con la sua burocrazia statale nella pratica dimostratasi endemica del comunismo, per avere un potente strumento, un partito dei lavoratori socialdemocratico che si opponga ai compromessi sfavorevoli e contro i diritti acquisiti in precedenza, diritti necessari alla democrazia come la crescita del PIL e un contenuto debito pubblico.

Riprendendo assunti di base di Marx, e rielaborandoli in un’ottica moderna, faremmo un favore ai lavoratori e all’intero sistema sociale se considerassimo:

– Il lavoro sottopagato dal capitalismo rispetto ai risultati ottenuti

– Il lavoro nero come ulteriore forma di sfruttamento senza tutele

– I diritti di rappresentanza sindacale disattesi per connivenze tra poteri forti

– Le leggi sulla sicurezza non rispettate, spesso corollario di altri diritti negati

– I servizi pagati con le tasse dei lavoratori come fonti di spreco e di sperpero di denaro pubblico, come l’assistenza, quando non finalizzati ad un servizio realmente fruito. Inoltre i lavoratori nelle normali politiche di gestione della cosa pubblica si trovano sempre a dover pagare i costi più alti, che difficilmente vengono fatti pesare su categorie come ad esempio i banchieri

– A livello microsociologico, le differenze gerarchiche sul luogo di lavoro divengono forme di vessazione del lavoratore, e talvolta il licenziamento non è altro che la fine di un’agonia

– In ogni settore professionale, vi sono situazioni di pressioni più o meno palesi, come il dovere sottostare a certi riti di iniziazione, a certi percorsi, a certe opinioni da esibire per poter essere assunti e mantenuti nell’impiego. Esempio: sottostare a ricatti a sfondo sessuale, in certe professioni, come diktat per lavorare




[1] Wikipedia.org

Roberto Di Molfetta
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Roberto Di Molfetta, 1974, nativo di Salerno, da madre romana e padre di Ceccano (Frosinone), ha avuto parecchie città di residenza, ma deve la sua formazione soprattutto al periodo ventennale trascorso nel centro della Capitale. Laureato in Comunicazione alla Sapienza di Roma, si occupa ormai da anni di Web Marketing, ottimizzazione per i motori di ricerca e creazione di siti Web. Dal 2015 ha iniziato a pubblicare libri su vari argomenti: controinformazione, informatica, psicologia, temi politici. Contatti: [email protected] Sito Web: www.robertodimolfetta.it